Editoriale

Comuni, la legge vieti le varianti ai Prg

Gli ottomila Comuni italiani consentono l’edificazione di stabili, la loro modifica, la ricostruzione e altre attività, però non hanno l’obbligo di avere un Piano regolatore che tenga conto dello sviluppo e delle nuove esigenze edificatorie e sociali, per cui tale sviluppo avviene in modo caotico.
Per meglio dire, non è che i Comuni non siano dotati di Piani regolatori generali (Prg), in quanto ce l’hanno, ma hanno la facoltà di approvare le varianti a esso. Per cui, i vecchi Piani regolatori sono falcidiati da decine e decine di varianti che li hanno del tutto snaturati.

Nel nostro Paese non esiste una legge che vieti le varianti ai Piani regolatori e che obblighi i Comuni a rinnovarli di anno in anno, approvandone il nuovo testo come si fa con i bilanci. La conseguenza di quanto precede è che assistiamo a degli obbrobri che vediamo con i nostri occhi, perché sorgono palazzi o ne vengono ristrutturati altri in maniera assolutamente squilibrata rispetto al territorio. Il che non depone bene per una crescita civile e culturale dello stesso.

Esiste un altro obbrobrio e, cioè, che gli uffici tecnici dei Comuni approvano progetti che non tengono conto della cultura, della tradizione, dei paesaggi dello stesso territorio, con la conseguenza che essi stonano rispetto all’ambiente circostante come figli innaturali.
Vediamo in centinaia di Comuni sgorbi di immobili che non hanno nulla a che vedere con le tradizioni di quel territorio, eppure regolarmente approvati dagli uffici tecnici da parte di dirigenti e dipendenti che non hanno studiato la storia del loro comune, le origini, quello che hanno fatto le popolazioni e quindi quali siano le prospettive.

Vi è un terzo problema che i Comuni italiani non hanno affrontato adeguatamente: continuano ad approvare l’edificazione di immobili per diverse destinazioni ex novo, quindi con consumo di suolo e di materiale, che è esattamente il contrario di quello che si dovrebbe fare.
Infatti, più si cementifica il terreno e più esso diventa impermeabile agli agenti atmosferici, il sottosuolo marcisce perché non respira e si ruba terreno a quegli spazi verdi necessari per il benessere dei/delle residenti.

Cosa dovrebbero fare invece i Comuni? Dovrebbero consentire la ristrutturazione degli edifici esistenti, sempre per le diverse destinazioni (industriali, commerciali, di servizi, abitative e altre) in modo da eliminare strutture fatiscenti e averne di nuove, sempre compatibili con la storia e gli usi del territorio nonché con le norme di sostenibilità ambientale.

Per far questo occorrerebbero sindaci colti, preparati e, a valle, dirigenti dello stesso livello culturale e professionale, ovviamente reticenti alle mazzette che imprenditori poco onesti distribuiscono pur di realizzare business contrari al benessere e alle necessità degli/delle abitanti.
Tutto quanto precede non può essere affidato alla discrezionalità dei sindaci, perché essi sono eletti direttamente dai/dalle cittadini/e, fra i/le quali vi sono quelli/e che chiedono favori di ogni tipo, infischiandosene dell’interesse generale.

Tutto ciò dovrebbe essere oggetto di una legge nazionale ferrea che mettesse nel proprio testo tutti gli elementi indicati precedentemente.

Per fare quanto abbiamo scritto occorrerebbero statisti, cioè presidente del Consiglio, ministri e parlamentari, capaci di guardare a cinque, dieci o vent’anni. Mentre dobbiamo registrare che essi sono quasi tutti miopi e non adottano le lenti correttive. Guardano cioè fino alla punta del proprio naso, a uno, sei o massimo dodici mesi, e agiscono, giorno per giorno, in base ai sondaggi e all’umore giornaliero dei/delle propri/e elettori/trici, i/le quali ovviamente non hanno il quadro generale a disposizione per guardare lontano.

La differenza fra lo statista governante e il/la cittadino/a eleggente è proprio qui: il primo dovrebbe guardare lontano, il secondo guarda piuttosto vicino.
Non possiamo pretendere che l’impiegato, l’operaio, il contadino e tanti altri cittadini che hanno il diritto di voto guardino lontano, ma dovremmo pretendere che tutti quelli che governano, invece, siano dotati di vista lunga.
Forse la nostra pretesa è eccessiva? Speriamo di no.