Comunicare ai tempi della comunicazione potrebbe sembrare la cosa più semplice del mondo, ma non lo è affatto, come proverò a dimostrare, facendo appello alla cortesia di chi legge. Infatti, quando chi ascolta non comprende, non è in grado di comprendere o, peggio, non vuole comprendere o finge di non comprendere, è bene che chi parla stia attento a cosa dice, a come lo dice e a chi lo dice, pertanto provi ad esprimersi in maniera inequivocabile, magari facendo ricorso a forme di linguaggio figurato, che possono far correre il rischio di apparire banali, ma che rendono il messaggio sicuramente più semplice e chiaro.
Oggi la comunicazione vive un momento di grande espansione, ma anche di grande confusione a volte spontanea, a volte casuale, ma a volte anche frutto di una grave crisi dei sistemi educativi, o forse costruita a tavolino. Per questa ragione è bene esprimersi in maniera ben intellegibile, in modo tale da non ingenerare equivoci, che sono da evitare assolutamente, soprattutto quando ci si rivolge ad interlocutori la cui capacità di comprendere non sia stata provata del tutto.
Ciò che, nel caso specifico, viene “messo in comune” nella comunicazione non sono beni materiali ma “messaggi”, che esprimono intenzioni, volontà, opinioni, sensazioni, pensieri, sentimenti, informazioni o magari banali battute. Queste ultime, ad esempio, vanno usate con grande parsimonia e solo in presenza di interlocutori intelligenti e soprattutto non in malafede. Decontestualizzare una battuta, ad esempio, può ribaltare il suo significato facendo passare per guerrafondaio un pacifista o per statalista un liberale.
Secondo alcuni esperti del settore “la comunicazione parte non dalla bocca che parla ma dall’orecchio che ascolta”, dunque è a questo che bisogna pensare quando ci si rivolge a qualcuno per una qualsiasi ragione. Essere chiari, infatti, non significa aver chiaro il concetto che si è espresso, ma essere certi che i suoi destinatari siano nelle condizioni di averlo altrettanto chiaro, tanto da comprenderlo senza alcun tipo di equivoco. In proposito non bisogna trascurare un dettaglio di particolare importanza, sostenuto da parecchi studiosi del settore: “metà della popolazione mondiale è composta da persone che hanno qualcosa da dire ma non possono. L’altra metà è formata da persone che non hanno niente da dire ma continuano a parlare”.
Poi c’è un’ampia quota di ignoranti funzionali, i quali comprendono le singole parole ma non riescono a contestualizzarne il significato, circostanza che può determinare non pochi equivoci. Il termine analfabetismo funzionale, o illetteratismo, indica, infatti, l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura, ascolto e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana e, in pratica, si traduce nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni con le quali ci si imbatte nella società nelle quale si agisce o con la quale si ha a che fare per ragioni di natura contingente. A tal proposito, una frase del famoso scrittore Fernando Pessoa, ci chiarisce quanto sia difficile comunicare tra persone diverse, persino tra persone che si amano, e pertanto si suppone che siano ben disposte nei confronti dell’altro/a, quando le stesse non si trovano in perfetta sintonia.
“Due persone dicono reciprocamente ti amo”, sostiene Pessoa, “o lo pensano, tuttavia ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima”. Ecco perché è importante sapere ben comunicare, nel senso che bisogna saper ben esprimere un concetto, un messaggio, un’informazione, ma è fondamentale saperla anche ben ascoltare e ben comprendere, cogliendone le sfumature più recondite, anche facendo ricorso alla decodificazione del linguaggio non verbale o paraverbale. Negli altri casi, quando non si è certi di ciò che può accadere, potrebbe essere meglio tacere o essere talmente arguti e talmente ironici da riuscire a dire il contrario di quello che si pensa per fare capire il contrario di quello che si dice. Chissà se sono stato chiaro? Anch’io ogni tanto gioco con le parole.