Produrre biocarburanti a partire dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), il cosiddetto “umido” costituito dagli scarti di cucina, oggi è possibile grazie alla tecnologia Waste to Fuel nata dalla ricerca Eni.
Dopo il primo impianto pilota discontinuo e su piccola scala realizzato nel Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara, a inizio 2019 Eni Rewind, società ambientale di Eni, ha avviato nelle aree della bioraffineria di Gela un impianto pilota.
Dal processo si ricava fino al 16% di bio olio (in funzione della composizione della carica in ingresso) recuperando mediamente il 70% di acqua contenuta nel rifiuto organico, che può essere destinata ad usi industriali.
Il bio olio prodotto può essere utilizzato come combustibile a basso contenuto di zolfo per il trasporto marittimo o raffinato per ottenere biocarburanti di nuova generazione.
Eni Rewind si occuperà dello sviluppo su scala industriale degli impianti Waste to Fuel. Il primo verrà realizzato su un’area bonificata da dalla società ambientale di Eni nel sito petrolchimico di Porto Marghera (5 ettari) e sarà in grado di trasformare in bio olio e acqua fino a 150 mila tonnellate all’anno di frazione organica dei rifiuti solidi urbani, equivalenti alla FORSU prodotta da 1,5 milioni di abitanti. L’investimento previsto è pari a oltre 70 milioni di euro.
Per avere un’idea del potenziale che il sistema potrebbe esprimere, basti accennare che ogni anno in Italia vengono raccolte circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti. Di queste, 14 milioni di tonnellate sono correttamente differenziati e, all’interno di queste, circa 7 milioni di tonnellate sono di FORSU.
Promuovendo una maggiore e più corretta differenziazione degli scarti di cucina si potrebbero raggiungere i 10 milioni di tonnellate di FORSU raccolta. Abbinando una buona raccolta differenziata a una diffusione degli impianti Waste to Fuel, su tutto il territorio nazionale, si potrebbe idealmente ricavare ogni anno circa un miliardo di litri di bio-olio, equivalente a circa 6 milioni di barili di greggio all’anno. Sarebbe come scoprire un piccolo giacimento senza, però, dover perforare pozzi e senza, soprattutto, emettere nuova CO2.
Con la tecnologia Waste to Fuel si imita in due o tre ore il processo naturale con cui la Terra ha generato gli idrocarburi da organismi antichissimi impiegando centinaia di milioni di anni. Il cuore della tecnologia è la termoliquefazione, un processo termochimico in soluzione acquosa che trasforma la biomassa di partenza in una sorta di “petrolio biologico” o bio olio. Qui viene recuperata e concentrata quasi tutta l’energia contenuta nel materiale organico di partenza, mantenendo la preziosa componente di idrogeno e carbonio e separando l’acqua. Ogni passaggio è studiato per ridurre le dispersioni e ottenere un prodotto con un elevato potere calorifico e un basso tenore di zolfo.
L’impatto sull’ambiente? I recuperi energetici di Waste to Fuel sono virtualmente carbon neutral poiché, impiegando il bio olio ottenuto per alimentare motori termici, si sviluppa la stessa quantità di anidride carbonica presente nella biomassa di partenza, a sua volta captata dall’atmosfera e fissata nella materia organica dalle piante attraverso la fotosintesi. A questo ciclo virtuoso non è quindi necessario aggiungere altro carbonio proveniente da combustibili fossili. In altre parole, invece di liberarsi nell’atmosfera, il carbonio viene immagazzinato nel bio olio, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Direttiva Europea sulle fonti rinnovabili nei trasporti (RED II).