Lidi e concessioni balneari tornano al centro della discussione politica italiana. L’intento della maggioranza che regge l’attuale esecutivo nazionale sarebbe quello di prorogare ancora una volta le concessioni, in barba alla direttiva Bolkestein e alle sentenze del Consiglio di Stato del 2021. Intento che ha scatenato le proteste non solo delle opposizioni ma anche della Commissione Ue.
La proroga al 31 dicembre 2024 delle concessioni balneari voluta dal centrodestra è stata inserita in un emendamento al Ddl Milleproroghe approvato dalle commissioni Bilancio e Affari Costituzionali del Senato lo scorso 9 febbraio. Una proroga che secondo l’emendamento potrebbe addirittura slittare di un altro anno (31 dicembre 2025) per i Comuni che riscontrano “difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura”. Secondo la direttiva Bolkestein, le concessioni non dovrebbero essere prorogate annualmente agli stessi soggetti economici, ma dovrebbero essere assegnate tramite una gara d’appalto pubblica. Questo per garantire la concorrenza in un settore che fino ad oggi in Italia è sempre stato in mano agli stessi imprenditori che hanno fatto la fortuna (legalmente s’intende) attraverso un bene pubblico.
Sempre nella stessa seduta hanno ottenuto il disco verde altri due emendamenti che consentono di dare “un attimo di respiro” – come ha dichiarato nei giorni scorsi la ministra del Turismo, Daniela Santanchè – ai balneari. Uno riguarda la proroga di cinque mesi (da fine febbraio a fine luglio) del termine per l’adozione del sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici, l’altro istituisce un tavolo tecnico presso la Presidenza del Consiglio sulla “Scarsità della risorsa naturale disponibile”. Tavolo a cui il Governo Meloni sembrerebbe voler agganciare le nuove procedure pubbliche per l’assegnazione delle concessioni così come richiesto dall’Europa nel 2006 con la direttiva Bolkestein. Al momento, va detto, si tratta solamente di emendamenti e non di legge. L’appuntamento per convertirli è il 27 febbraio, quando il parlamento voterà per approvare la legge di conversione del Dl Milleproroghe, con tutti i suoi emendamenti. E il risultato sembrerebbe essere già scontato dato che è stata la stessa premier Giorgia Meloni a tracciare uno degli obiettivi: “Difendere un mondo produttivo, che secondo noi è strategico”. A definire una linea netta della posizione del Governo Meloni al QdS è stata la ministra Daniela Santanchè. “Questo – ha dichiarato – è l’emendamento che rappresenta la volontà delle associazioni di categoria”.
“Siamo a conoscenza delle discussioni in corso in Italia in merito alla riforma del sistema delle concessioni balneari, a seguito dell’adozione della legge sulla concorrenza nel 2022. In questa fase non abbiamo commenti in quanto nessuna decisione è stata presa dalle autorità italiane”. Con queste parole la Commissione Ue ha deciso di non commentare al QdS la vicenda delle concessioni, ma al contempo ha ricordato che “l’attuale sistema delle concessioni balneari è oggetto di un procedimento di infrazione pendente”.
La posizione della Commissione sembrerebbe essere abbastanza chiara e in netto contrasto con quella della maggioranza parlamentare italiana. “Cogliamo l’occasione – hanno aggiunto – per ribadire che il diritto dell’Ue richiede che le norme nazionali assicurino la parità di trattamento dei fornitori di servizi senza alcun vantaggio diretto o indiretto per alcuno specifico operatore, promuovano l’innovazione e la concorrenza leale, prevedano un’equa remunerazione degli investimenti effettuati e tutelino dal rischio di monopolizzazione delle risorse pubbliche a vantaggio dei consumatori e delle imprese. Chiaramente, i cittadini e le imprese hanno bisogno, senza ulteriori indugi, di procedure trasparenti, imparziali e aperte per decidere a quale impresa debba essere concesso il diritto di utilizzare il suolo pubblico (in questo caso le spiagge) per offrire i propri servizi”.
Insomma, la concorrenza è la strada da imboccare per non incorrere nell’ennesima condanna da parte dell’Europa. E la crisi dovuta prima alla pandemia e successivamente all’inflazione non dovrebbero essere un motivo per rimandare ulteriormente l’applicazione della direttiva Bolkestein. Al contrario dovrebbero accelerare il processo di modernizzazione del settore.
“Il settore del turismo balneare – ha dichiarato la Commissione Ue – è di notevole importanza per l’economia non solo italiana ma dell’intera Europa. L’impatto negativo della pandemia sul settore del turismo rende gli investimenti e l’innovazione in questo settore ancora più importanti. Le legislazioni nazionali di tutti gli Stati membri dovrebbero promuovere la modernizzazione del settore. La trasparenza e la concorrenza leale forniscono certezza del diritto e stimolano gli investimenti e l’innovazione sia per i concessionari esistenti che per i nuovi operatori”.
Effettivamente, la parola fine, almeno fino a qualche giorno fa, al dibattito sulla proroga delle concessioni balneari l’aveva messa il Consiglio di Stato già nel 2021 con ben due sentenze (la 17 e la 18 del 9 novembre di quell’anno) che non lasciavano adito ad interpretazioni. “Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19”, si legge nei documenti dei giudici amministrativi, sono in contrasto con il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e con la direttiva Bolkestein.
E “deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari”, i quali potranno partecipare alle gare che dovranno essere bandite. Inoltre, il Consiglio di Stato aveva consentito già due anni di tempo a Governo e Parlamento, per “approvare una normativa che possa finalmente disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il rilascio delle concessioni demaniali”, e ai Comuni per “intraprendere sin d’ora (nel 2021, nda) le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara”.
Paradosso nel paradosso, in una delle due sentenze i giudici amministrativi hanno anche precisato che “eventuali proroghe del termine individuato dovranno considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera di qualsiasi organo amministrativo”. A partire, insomma, da i Comuni. Precisazione che sembrerebbe non preoccupare il Governo. E in particolar modo la ministra del Turismo, la quale crede “che sia il Parlamento che debba decidere” in quanto è “l’organo che rappresenta i cittadini”.
Ma questa proroga, quante concessioni “salva” dalla messa in gara? Secondo gli ultimi dati a disposizione, quelli del rapporto spiagge 2022 di Legambiente, le concessioni demaniali (che non comprendono solo gli stabilimenti balneari ma anche i campeggi, i circoli sportivi e i complessi turistici) sono 61.426 su un totale di 3.346 chilometri di costa sabbiosa. Di queste, i lidi sono 12.166. Una quantità di strutture che, per rendere più chiaro il concetto, occupa legalmente il 42,8% delle spiagge italiane. Percentuale che sale se ci troviamo in zone dalla forte vocazione turistica come Liguria o Emilia-Romagna, dove le concessioni balneari riguardano rispettivamente il 69,9% e il 69,5% della costa. Un’alta concentrazione di stabilimenti balneari si trova anche in Campania, dove le oltre 4.700 concessioni occupano il 68,1% della costa sabbiosa. Il Comune costiero con la maggiore quota di spiagge in concessione è Gatteo, in Emilia, dove secondo l’associazione del cigno non c’è un briciolo di spiaggia libera: il 100% della costa è occupato da stabilimenti balneari. Completano il podio dei Comuni costieri più occupati dai lidi Pietrasanta (98,8%) e Camaiore (98,4%), entrambi in Toscana.
Il così alto numero di concessioni in Italia e al contempo l’estrema opposizione del mondo imprenditoriale all’applicazione della legge Bolkestein che garantirebbe la concorrenza al settore può essere spiegato con l’enorme differenza tra la quota da pagare per la concessione e gli alti incassi. A dare i numeri del business dei beni costieri pubblici è stato Angelo Bonelli, co portavoce di Europa Verde e deputato dell’Alleanza Verdi Sinistra. “Nel nostro Paese – ha dichiarato – le concessioni demaniali marittime fruttano allo Stato circa 107 milioni l’anno con un’evasione erariale del 50% mentre i 10mila stabilimenti balneari italiani complessivamente fatturano oltre 7 miliardi di euro. È evidente che c’è qualcosa che non funziona, e quel qualcosa che non funziona è uno scandalo che si chiama spiaggiopoli, tutto il resto sono chiacchiere ovvero tutela dei privilegi di cui questo governo si sta facendo portatore”.