Dossier Illustri personaggi siciliani

Concetta Castilletti, da Ragusa alla nomina a Cavaliere della Repubblica

“La nomina a Cavaliere della Repubblica è stata per me un grandissimo onore”, a dirlo Concetta Castilletti, biologa ragusana, intervistata in esclusiva per il Quotidiano di Sicilia. Virologa e ricercatrice, biologa laureata all’Università di Catania, specializzata a “La Sapienza” in microbiologia e virologia, da oltre 20 anni lavora all’ospedale Spallanzani di Roma. Nel gennaio del 2020, insieme a un team composto da tre ricercatrici, è riuscita ad isolare, per la prima volta in Italia, il virus Sars-CoV-2, aprendo così la strada verso la sperimentazione dei vaccini. In passato, è stata in prima linea in Congo, in Sierra Leone, in Sudan nella lotta contro il virus Ebola. A giugno 2020 è stata nominata dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, Cavaliere al merito della Repubblica per essersi distinta nella lotta contro il Coronavirus.

Da Ragusa alla nomina a “Cavaliere della Repubblica”, qual è il percorso che l’ha portata a questo risultato?
“La nomina è giunta totalmente inaspettata e ancora adesso non mi sembra vero. Non si tratta di un percorso particolare, chi si dedica alla ricerca in una struttura pubblica in Italia lo fa con una certa dose di incoscienza/ottimismo/passione. I passi sono sempre gli stessi: laurea, dottorato, specializzazione, tanti concorsi, tanti contratti ‘atipici’ e tanto lavoro sino all’assunzione, decisamente tardiva ma altrettanto decisamente nella media per età. Quindi come si può immaginare il percorso non è stato semplice, tanto precariato e tanta incertezza ma tanta curiosità, ripeto passione ed un pizzico di fortuna. Inoltre, non smetterò mai di ringraziare abbastanza la mia famiglia per avermi sempre supportato e spronato ad andare avanti”.

Come siete arrivati ad isolare il virus allo Spallanzani? Quali sono state le principali difficoltà cui avete dovuto far fronte?
“Ci siamo arrivati con tanta preparazione e pazienza. Il nostro lavoro è quello di rispondere alle emergenze, è un lavoro di aggiornamento costante ed allo stesso tempo di mantenimento delle metodiche di Virologia classica. Non si tratta di difficoltà, si tratta di resistere alle molteplici sollecitazioni di aggiornamento e di ‘facilitazione’ del lavoro a discapito di alcune peculiarità, e di mantenere in vita metodiche e protocolli che nella vita di tutti i giorni danno pochi risultati e soddisfazioni ma che coltivi perché ne riconosci l’utilità. Tutte le tecniche hanno la loro importanza ed utilità”.

L’isolamento del virus cui lei ha contribuito è stato un passaggio fondamentale nella lotta alla pandemia, cosa significa questo per lei?
“Per un virologo ottenere il virus per poter mettere a punto i test diagnostici, studiare gli aspetti che causano la malattia, avere la possibilità di testare farmaci, poter ottenere un vaccino è il massimo. È il massimo dei risultati e la base di tutte le ricerche future”.

Si parla tanto di una parità uomo-donna che in campo scientifico, delle volte, sembra ancora purtroppo quasi un “miraggio”. Secondo la sua esperienza, quanto siamo lontani dal superamento del gender-gap e cosa servirebbe concretamente per provare a raggiungere l’obiettivo?
“Non lo so, e mi dispiace pure parlarne, so che è necessario ma mi costa fatica. Per me non c’è nessun gap, siamo persone, ognuno con il proprio carattere, la propria intelligenza, le proprie uniche caratteristiche. Il solo sentire parlare di quote rosa mi fa rabbrividire, non è una competizione, dovrebbe essere complicità, collaborazione, lavoro di squadra con leaders e gregari, uomini o donne che siano. Ma mi rendo conto che questo non è il mondo reale e quindi sono disposta a parlarne ma non lo farò mai in contrapposizione, solo in difesa dei diritti dei più deboli, uomini e donne”.

Biagio Tinghino