Consumo

Consumi, i livelli pre pandemia restano lontani

ROMA – Nel 2021 ai consumi mancano oltre sei punti percentuali, anche per l’assenza della spesa sul territorio di importanti quote di turismo straniero. “A causa dell’inflazione elevata, i consumi nel 2022 crescerebbero solo del 2,1%, contro una variazione di oltre il 3% indicata nel Def”.

È quanto afferma il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella, nelle previsioni “Economia e consumi: 2022-2023” al forum Confcommercio-Ambrosetti a Villa Miani a Roma.

“Sarebbe migliore la performance dei consumi nel 2023, perché se le cose si sistemano nello scenario internazionale, come ipotizzato, la propensione tornerebbe a crescere e la spesa potrebbe mostrare una variazione di quasi tre punti percentuali. Ma nella media del 2023 rispetto al 2019 mancherebbero ancora due punti percentuali, con un delta, espresso ai prezzi attuali, superiore ai 23 miliardi di euro” osserva Bella.

“Secondo i nostri modelli e leggendo le indagini che abbiamo realizzato, insomma, quella propensione unita ai risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia migliorerebbero il quadro dei consumi nei prossimi 18 mesi. Dai servizi culturali al vestiario, dai pubblici esercizi alla filiera del turismo, le cose potrebbero, lentamente, rimettersi in modo. Il problema, appunto, è ‘quanto lentamente’” conclude Mariano Bella.

Il clima di fiducia si sta ristabilendo

Dopo lo shock del 2020 e l’inizio di un ritorno alla normalità registrato nel 2021, il clima di fiducia e le attese delle famiglie sul futuro si sta ristabilendo anche se solo parzialmente: infatti il 26% delle famiglie si aspetta una riduzione del proprio reddito, il 24% prevede di ridurre i consumi e il 47,6% ridurrà i risparmi. Quest’ultimo dato, molto elevato e non compensato da una percentuale altrettanto alta di famiglie che prevede di aumentare i consumi, è un chiaro indicatore che la situazione rimane ancora problematica, secondo quanto rilevato dal rapporto “Outlook Italia – Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane 2022”, realizzato da Confcommercio in collaborazione con il Censis.

Nelle intenzioni di spesa per il 2022, tuttavia, le famiglie prevedono di effettuare l’acquisto di alcuni beni durevoli grazie anche agli incentivi statali.

In particolare, gli italiani sono intenzionati ad affrontare delle spese per la ristrutturazione dell’abitazione (29,3%), mobili e arredamento (21,8%), autovetture (16,9%), biciclette (13%), abitazione (7,6%), moto o scooter (6,4%). E comunque le intenzioni di andare in vacanza restano per il 32,3% delle famiglie anche se in leggera flessione sull’analogo periodo del 2021 (32,5%).

Le cause che limitano i consumi

Tra le cause che limitano i consumi delle famiglie, al di là dei livelli di reddito, il 54,8% delle famiglie indica alcuni fattori di contesto, in particolare: l’aumento del costo dell’energia, la paura di dover sopportare imminenti spese impreviste, l’incertezza sul futuro causata dai grandi eventi internazionali, come una possibile recrudescenza della pandemia e la guerra in corso in Ucraina.

Il 33,4% delle famiglie indica la crisi energetica con il connesso aumento di bollette e carburanti, il 26% il surriscaldamento globale e quasi il 21% l’aumento dell’inflazione. Ulteriori preoccupazioni, infine, vengono dal conflitto in corso in Ucraina: il 27% delle famiglie teme un coinvolgimento di altre nazioni, il 26,6% ritiene che possa trasformarsi in una guerra mondiale anche con l’uso di armi nucleari, il 23,4% è preoccupato per le ripercussioni economiche sull’economia del nostro Paese, il 16,9% teme il taglio delle forniture di gas da parte della Russia con le conseguenti difficoltà nei settori produttivi. Infine il 6,1% si dichiara preoccupato per l’impatto economico dell’emergenza umanitaria determinata da milioni di profughi ucraini in arrivo in Europa.

Inoltre, sul versante occupazione, la maggior parte delle famiglie non teme particolari rischi (51,9%), c’è però un 15,8% che si ritiene seriamente preoccupato, quota che risulta più che raddoppiata arrivando fino al 39,4% per le classi di reddito più basse.