Inchiesta

Il consumo di crack sempre più diffuso in Sicilia

PALERMO – Tra i drammi che si stanno consumando a livello nazionale nel post pandemia non c’è soltanto quello economico. Il dramma di cui stiamo parlando ha radici ben più profonde e radicate nel malessere di un’intera società ed è connesso al consumo di stupefacenti, testimoniato dai dati in continuo aumento riguardanti l’accesso nei Sert (Servizio per le tossicodipendenze) e nei Serd (Servizi per le dipendenze patologiche) nelle Aziende sanitarie provinciali della Sicilia.

Nel solo 2021, nel caso dei servizi di assistenza pubblici per le dipendenze messi a disposizione dall’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, gli accessi registrati hanno raggiunto quota settecento. Un dato più che raddoppiato rispetto al 2020, anno condizionato nelle statistiche dall’avvento della pandemia e dal lockdown forzato, che ha solo mutato il mercato spostandolo dalle piazze fisiche a quelle virtuali del mondo di internet.

A farla da padrone oggi è appunto il crack

Numeri che nel capoluogo non si registravano dagli anni Novanta, quando al posto della diffusione del crack esplodeva il consumo dell’eroina, il cui smercio a livello regionale è sempre stato nelle mani delle organizzazioni criminali. A farla da padrone oggi è appunto il crack, quella che a livello mondiale è conosciuta come la “cocaina low cost” e il cui consumo è in graduale ma netto aumento soprattutto tra i giovanissimi.

Parlando di crack facciamo riferimento a una cocaina cucinata, allungata con il bicarbonato o con l’ammoniaca, e poi fumata. E deve far riflettere se sul mercato della droga anche la cannabis sta lasciando sempre più spazio ai “pezzi” di crack fumati e divenuti tra i più giovani degli aggregatori sociali borderline, insieme all’alcol.

La diffusione di questa sostanza, come accennato, non risiede soltanto nella “novità” ma soprattutto nel prezzo: 15 euro sono più che sufficienti per portarsi a casa un composto da fumare. E non sempre ci si sballa in giro per la città: a volta questo accade anche dentro le mura di casa, davanti agli occhi di genitori che non vedono o fanno finta di non vedere.

A far luce sul fenomeno, nel corso degli ultimi anni, sono state soprattutto associazioni e comitati di quartiere operanti nel settore, come nel caso di Sos Ballarò che da cinque anni, in una delle zone più complesse di Palermo, si occupa dei fenomeni connessi con la diffusione della tossicodipendenza tra le fasce più deboli della popolazione.

Per strada e tra i quartieri più disagiati, insieme con Massimo Castiglia e la sua associazione, c’è anche don Enzo Volpe, prete salesiano ed ex direttore del complesso di Santa Chiara, che oggi ha dato vita a Casa Ancora all’interno proprio del quartiere di Ballarò. Un punto di riferimento per l’accoglienza degli ultimi, tra questi molti ragazzi tossicodipendenti che vagano senza meta per le strade della città e che ogni notte sono esposti ai fumi della droga.

“La prima manifestazione contro il crack che abbiamo organizzato – spiegano da Sos Ballarò – risale al 2018. Una manifestazione cui seguirono degli incontri informativi per permettere ai ragazzi degli istituti secondari superiori della città di conoscere il fenomeno. L’Asp si era impegnata mettendo a disposizione un camper informativo e di sostegno, ma la pandemia ha bloccato tutto. E quello che era diventato un punto di riferimento non è più stato ripristinato”.

Sembra muoversi qualcosa anche sotto il profilo politico

Sull’emergenza riguardante la diffusione della droga in Sicilia sembra muoversi qualcosa anche sotto il profilo politico. Lo scorso 13 gennaio il gruppo parlamentare regionale del Partito democratico ha presentato una mozione all’Ars chiedendo alla Regione di intervenire sul tema. Un lavoro che dovrà procedere in raccordo con Comuni e Asp, mettendo in piedi una massiccia campagna d’informazione nelle scuole secondarie di primo grado, nei centri di aggregazione giovanile, nelle parrocchie e negli oratori, sugli effetti devastanti e irreversibili, tanto a livello fisico quanto cerebrale, provocati dall’assunzione di crack.

Per Nello Dipasquale, primo firmatario della mozione, “la politica è stata poco attenta su questa problematica. L’obiettivo è quello di rimettere al centro dell’interesse una piaga che sta compromettendo il futuro dei nostri figli. La mozione vuole stimolare gli organi preposti a intervenire tempestivamente per arginare il fenomeno”.

E se Palermo risulta numericamente capofila, in proporzioni diverse il fenomeno è preoccupante in tutte le città dell’isola: “Non c’è una distinzione tra Palermo e Siracusa – aggiunge ancora l’esponente del Pd – si tratta di un tema regionale e l’azione di repressione deve essere mirata e coordinata. Sicuramente la pandemia ha contribuito a impattare sul fenomeno: l’isolamento di tantissimi giovani li ha resi più vulnerabili sotto questo profilo”.

Un focus sul tema, su richiesta delle associazioni del settore, è arrivato anche dal tavolo di confronto aperto nel dicembre scorso dalla Prefettura di Palermo. Qui, insieme a Questura, Comune, Asp e organi operanti sul territorio, si è deciso di contrastare in modo sistemico la diffusione degli stupefacenti tra le fasce più deboli della popolazione, tanto a Ballarò quanto in altri quartieri degradati della città. Un percorso non soltanto informativo e medico ma anche di riqualificazione edilizia.

La piaga della cocaina low cost si sta diffondendo a macchia d’olio non soltanto in Sicilia ma in tutta Italia. Sotto i riflettori droghe come eroina, ecstasy e shaboo ma prima di tutto, ancora una volta, crack il cui consumo è cresciuto esponenzialmente soprattutto a Roma, una delle piazze di spaccio più importanti a livello nazionale. E se ordini via Telegram e WhatsApp o tramite internet hanno fatto la differenza durante la pandemia per mantenere alti gli standard di consumo di chi ha avuto problemi di dipendenza, il mercato oggi si sta riorganizzando.

Secondo i dati diffusi dal Global drug survey, una delle più importanti compagnie di studi di ricerca nel settore della droga e dell’alcool con sede a Londra, l’Italia non se la passa bene: come si evince dal più grande report mondiale che vede coinvolte in sondaggi volontari ogni anno più di 30.000 persone, nel rapporto del 2018, quindi già prima della pandemia, l’Italia risultava essere il primo Paese in Europa per consumo di cocaina e il terzo al mondo dietro solo a Stati Uniti e Canada. In base ai dati forniti dal Gds sul 2021, il crack è diventata la seconda droga più utilizzata per divertimento tra i giovani dietro solo alle anfetamine.

Un fenomeno che si espande, e che pian piano sta allungandosi anche sui ragazzi provenienti da ceti sociali più abbienti, come sta avvenando per esempio a Messina. La conferma arriva da Anna Maria Garufi, presidente della Lelat (Lega lotta Aids e tossicodipendenza) e presidente regionale del Cnca (Coordinamento nazionale comunità accoglienti) fino allo scorso dicembre.

Anna Maria Garufi da oltre quarant’anni combatte sul territorio di tutta la provincia di Messina il fenomeno della tossicodipendenza. Negli ultimi trenta, anche grazie alla comunità Lelat: “Dai noi non c’è più la richiesta che c’era una volta e il motivo dipende dalla fluidità della società in cui viviamo. Giovani e adulti che consumano cocaina o crack non ritengono infatti di poter essere considerati al pari dei tossicodipendenti”.

Il consumo viene ritenuto come una droga voluttuaria ed è per questo che in molte città si fa fatica a parlare di emergenza. E se la cocaina è entrata sempre più in profondità nei ceti abbienti, l’allarme crack sta adesso interessando i giovanissimi. “A Messina – racconta la presidente della Lelat – ci siamo ritrovati a dover far togliere alla famiglia una ragazzina di tredici anni che fumava crack con dei coetanei in piazza Unione europea, proprio di fronte il Municipio, dove ogni sera si riuniscono tanti gruppi di ragazzi”.

Un fenomeno, quello dell’assunzione di crack, che diventa quindi sempre più trasversale e non più legato al ceto sociale di appartenenza: “Non stiamo parlando – conferma Garufi – sempre di famiglie disagiate. Anzi, nella maggior parte dei casi parliamo di ragazzi provenienti da quartieri anche bene del centro città con genitori spesso distratti”.

E mentre il crack si diffonde nei salotti buoni, le comunità si svuotano e operano principalmente nei confronti dei detenuti, come nel caso della Lelat e della comunità Faro, le due presenti sul territorio peloritano. Il tutto mentre i Sert scontano un ricambio generazionale non operato dalle Asp. Come spiega una fonte interna, che però preferisce rimanere anonima, “un tempo erano in nove e adesso sono in tre o addirittura in due a dover garantire la stessa presenza del passato sul territorio: semplicemente impossibile. Con l’aumento dei tossicomani queste strutture stanno collassando. E non sono previste nuove risorse umane all’orizzonte”.

Un quadro, dunque, su cui le istituzioni devono porre necessariamente maggiore attenzione: da un lato l’aumento dei consumi di droghe chimiche e quelle liquide, soprattutto fra i più giovani; dall’altro il calo delle richieste di confronto e informazione sul fenomeno e i presidi una volta impegnati in prima linea messi in difficoltà dalla burocrazia. Una combinazione che rischia di rivelarsi esplosiva tanto a livello locale che nazionale e davanti a cui non è più possibile voltarsi dall’altra parte.