La Sicilia è la sesta regione italiana per il fenomeno del consumo di suolo e della conseguente cementificazione in sostituzione del verde. A riportare i dati, che fanno riferimento al 2022, è l’ultimo rapporto pubblicato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). Una tendenza che, a partire dagli anni 2000, ha trasformato irreversibilmente centinaia di ettari di suolo agricolo e naturale in superfici cementificate.
Questa perdita progressiva e spesso incontrollata di aree verdi e agricole rappresenta un rischio enorme per l’ecosistema e la biodiversità, ma anche per la stabilità del territorio stesso, minacciato da frane, alluvioni e desertificazione.
Da quanto emerge dal rapporto, la Sicilia ha perso ben 608 ettari di suolo, con un incremento di oltre 120 ettari rispetto al 2021. Un aumento che desta preoccupazione e che richiede un’analisi approfondita non solo sul piano regionale, ma anche nazionale, per comprendere l’entità e le cause del fenomeno.
A livello nazionale, l’Italia ha perso circa 120.000 ettari di suolo negli ultimi 16 anni, una media impressionante di 7.500 ettari all’anno e con un incremento progressivo. Nel solo 2022 sono stati cementificati 7.677 ettari, il che equivale a 21 ettari al giorno, ovvero circa 2,4 metri quadrati al secondo. Un ritmo che non sembra arrestarsi, nonostante gli impegni politici e gli obiettivi fissati dall’Ottavo Programma di Azione Ambientale, che prevede di azzerare il consumo netto di suolo entro il 2050. Dati che, nell’insieme del cambiamento climatico in atto, permettono di spiegare le ancestrali difficoltà di alcune regioni nella risoluzione delle emergenze idrogeologiche.
Il problema è particolarmente accentuato nelle aree a forte densità urbana e industriale del Nord Italia. La Pianura Padana, per esempio, detiene il triste primato di area maggiormente colpita. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono le regioni dove il fenomeno ha raggiunto livelli critici, con oltre il 10% del territorio ormai impermeabilizzato. Non è un caso, appunto, se con cadenza ormai annuale gli eventi idraulici colpiscano proprio queste zone.
Il consumo di suolo nelle regioni settentrionali ha raggiunto livelli allarmanti. Nel 2022, la Lombardia ha perso oltre 14.600 ettari, seguita dal Veneto con 13.079 ettari e dall’Emilia-Romagna con 11.009 ettari. La densità del consumo di suolo in queste regioni è particolarmente elevata: la Lombardia ha raggiunto una media di 61,32 metri quadrati per ettaro di territorio, mentre in Veneto questa cifra sale a oltre 71 metri quadrati. La Pianura Padana è stata trasformata in una vasta area urbanizzata, con intere porzioni di territorio sottratte all’agricoltura e agli ecosistemi naturali. Questo ha provocato una serie di conseguenze negative, tra cui l’aumento del rischio idrogeologico e la perdita di biodiversità.
Nel Centro Italia, il consumo di suolo è meno intenso rispetto al Nord, ma non per questo meno preoccupante. Regioni come Lazio e Toscana hanno registrato perdite significative di terreni naturali, in particolare nelle aree urbane e periurbane. Il Lazio, ad esempio, ha consumato circa 9.000 ettari di suolo negli ultimi 16 anni, con un tasso di impermeabilizzazione che supera il 7%.
La trasformazione del suolo nel Centro Italia è spesso legata all’espansione urbanistica incontrollata, che ha portato alla cementificazione di ampie porzioni di territorio, anche in aree rurali e agricole di grande valore. Questo fenomeno mette a rischio non solo la produzione agricola, ma anche la qualità della vita nelle aree urbane, che diventano sempre più congestionate e vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Anche il Sud Italia sta vivendo un aumento del consumo di suolo, sebbene in modo meno accentuato rispetto al Nord. La Campania è una delle regioni meridionali più colpite, con oltre 10.000 ettari di suolo consumati dal 2006 ad oggi. Questa regione, inoltre, presenta una delle densità di consumo più elevate a livello nazionale, con 4,09 metri quadrati di suolo consumati per ogni ettaro.
L’espansione delle aree urbane in Campania, Puglia e Calabria è stata accompagnata da una crescente impermeabilizzazione del suolo, che ha ridotto la capacità di assorbimento delle acque piovane, aumentando il rischio di alluvioni e frane. In Puglia il consumo di suolo ha raggiunto 74 metri quadrati per ettaro.
La Sicilia è al sesto posto tra le regioni italiane per il consumo di suolo, con 608 ettari persi solo nel 2022. Tra le province più colpite ci sono Siracusa e Catania, dove l’espansione urbanistica ha prevalso sulla rigenerazione agricola. La crescita delle aree cementificate è stata particolarmente significativa rispetto all’anno precedente, con un incremento di oltre 120 ettari. Il record va a Catania, che è anche la quinta città d’Italia. A seguire Palermo, Enna, Modica e Carini.
Un aspetto preoccupante riguarda il consumo di suolo nelle aree a rischio idrogeologico. Nel 2022, la Sicilia ha perso 32,8 ettari in zone a pericolosità idraulica, un dato che, seppur inferiore rispetto ai 98 ettari del 2021, rappresenta un grave problema per la stabilità del territorio.
All’Italia manca una legge sull’arresto del consumo di suolo e la sua rigenerazione. Benché la prima proposta di legge per la limitazione del consumo di suolo risalga al 2012, da allora nulla è stato fatto. E i piagnistei della classe politica bipartisan davanti le telecamere a margine di eventi catastrofici che continuano a investire il Paese con regolarità, a poco servono.
Sono ben cinque le proposte di legge presentate nella scorsa legislatura a tal proposito ma rimaste soffocate nei cassetti. L’ultima, che fa riferimento al DDL S. 1398 del 18 dicembre 2022, è rimasta disattesa. Le parole dello scorso gennaio di un impegno da parte del governo confermato dal ministro responsabile al ramo, Pichetto Fratin, al momento sono state disattese.
La perdita di suolo ha conseguenze devastanti per l’ambiente e la società. La cementificazione riduce la capacità del terreno di assorbire l’acqua piovana, aumentando il rischio di alluvioni e frane. Questo fenomeno è particolarmente pericoloso in regioni come la Sicilia, già esposte a frequenti eventi meteorologici estremi.
Una diminuzione di aree verdi comporta una riduzione della biodiversità a causa della distruzione o frammentazione di molti habitat naturali. Questo genera un impatto diretto sugli ecosistemi locali, che diventano meno resilienti ai cambiamenti climatici e alle pressioni antropiche. La trasformazione del suolo agricolo in aree urbanizzate comporta anche una diminuzione della capacità produttiva dell’agricoltura, mettendo a rischio la sicurezza alimentare già minacciata dal fenomeno della dilagante siccità.
La rigenerazione urbana, la promozione dell’agricoltura sostenibile e la protezione delle aree a rischio idrogeologico sono temi che – come sostenuto dalle principali associazioni ambientaliste italiane – dovrebbero diventare priorità assolute nelle politiche territoriali regionali e nazionali. Solo attraverso una gestione più oculata del territorio sarà possibile fermare la cementificazione selvaggia e tutelare l’ambiente, il paesaggio e la biodiversità.