Prelievo contanti dal conto corrente, ci sono rischi? Premesso che l’Agenzia delle Entrate può ricostruire ogni movimentazione sul conto bancario o postale, sia essa in entrata (bonifici, versamenti di contanti o di assegni) che in uscita (prelievi alla cassa o al bancomat), è bene sapere quali di queste operazioni possono comportare accertamenti fiscali.
La questione è stata più volte affrontata dalla Cassazione. La Corte si è già occupata di spiegare quali contribuenti sono maggiormente esposti ai controlli dell’ufficio delle imposte, quali sono le operazioni sospette a cui si può dare il significato di manovre evasive e, non in ultimo, quali possono essere le tutele che il contribuente, in sede di indagini, può fornire a proprio favore. Di tanto faremo il punto qui di seguito, commentando una recente ordinanza con cui la Corte ha focalizzato la propria attenzione sul prelievo di contanti dal conto corrente.
Il fisco può presumere che ogni versamento di contanti o di assegni ed ogni bonifico ricevuto sul conto costituisca reddito imponibile, sia cioè un ricavo tassabile. Spetta al contribuente fornire la prova contraria. La prova contraria deve essere necessariamente scritta ed avere una data certa (attestata cioè da una marca temporale o dal pubblico ufficiale). Per cui, il contribuente ha due possibili soluzioni:
– o dichiara l’importo versato sul conto, riportandolo sulla propria dichiarazione dei redditi e, di conseguenza, pagandoci l’Irpef, eliminando così in partenza ogni rischio di accertamento
oppure non dichiara l’importo (ossia non lo indica nella dichiarazione dei redditi) ma deve conservare le prove scritte della natura esente dello stesso. Prove che potrebbero essere un atto di donazione da un genitore, la vendita di un bene usato, una vincita al gioco o alle scommesse, un risarcimento.
Non c’è limite al versamento dei contanti sul conto. La banca tuttavia, ai fini dell’antiriciclaggio, può chiedere contezza della provenienza del denaro. Potrebbero a questo punto verificarsi una serie di ipotesi. La prima: se si tratta di somme ricevute da un medesimo soggetto oltre la soglia della tracciabilità (1.000 euro a partire da gennaio 2022), la banca può segnalare tale circostanza alle autorità dell’Antiriciclaggio ai fini dell’applicazione delle relative sanzioni (da 1.000 a 50.000 euro). La seconda: se le motivazioni offerte dal correntista circa la provenienza del denaro sono insussistenti, generiche o danno adito a sospetti, la banca informa la Uif, l’Unità di informazione finanziaria (tramite la procedura Sos, Segnalazione di operazione sospetta) che procederà eventualmente, se ritiene sussistenti indizi di reato, ad inoltrare una segnalazione alla Procura della Repubblica.
La presunzione della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti e, in particolare, dai versamenti, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti. Tutti i contribuenti dunque sono chiamati a giustificare i versamenti e i bonifici ricevuti sul conto corrente, tanto più quelli che non posseggono un reddito e che, pertanto, saranno chiamati a spiegare come si sono procurati la disponibilità di tale denaro.
A differenza dei versamenti, i prelievi sul conto corrente non sono soggetti ad alcun controllo. Essi quindi non costituiscono prova per ipotizzare redditi non dichiarati al Fisco. La legge consente agli uffici finanziari di rideterminare i redditi dichiarati utilizzando le movimentazioni bancarie ingiustificate da ritenersi pertanto “maggiori redditi”; ma ciò riguarda solo i versamenti e non anche i prelievi ingiustificati. La Cassazione ha così accolto il ricorso della contribuente stabilendo che per i redditi diversi, i prelevamenti, anche se privi di una giustificazione, non possono mai fondare un accertamento fiscale e non possono far scattare la presunzione di evasione fiscale (come invece succede per i prelievi) [3]. E ciò a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa. I prelievi hanno valore presuntivo per i soli titolari di reddito d’impresa (ossia per gli imprenditori). Per questi ultimi esiste l’obbligo di giustificare tutti i prelievi superiori a 1.000 euro al giorno o a 5.000 euro al mese.
Nonostante i prelievi non possano fondare accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’antiriciclaggio la banca deve sempre chiedere al correntista la destinazione del denaro (così come avviene del resto coi prelievi). E, a tal fine, se l’importo prelevato supera 10.000 euro in un mese (anche se operato con operazioni tra loro distinte), l’istituto di credito deve informare la Uif, che a sua volta valuterà se notiziare di ciò la Procura della Repubblica al fine della verifica della commissione di reati gravi come il riciclaggio, la criminalità organizzata, il traffico di droga o di armi.