Brevi-Lavoro

Contratti lavoro, Cnel: “Solo il 48% contiene clausole pari opportunità”

ROMA – I contratti collettivi di lavoro che prevedono una clausola sulle pari opportunità sono pari al 48%. Il 92% contiene clausole su sicurezza sociale (fondi disabilità, sostegno alla disoccupazione, ndr) e pensioni (di questi, l’86% fa riferimento a fondi pensione, ndr). La clausola sul periodo di prova è presente nel 91% dei Ccnl. Il 96% presenta clausole su malattia/infortunio e l’88% specifica la retribuzione riconosciuta durante il periodo di congedo, mentre il 67% regolamenta una forma di assistenza sanitaria finanziata dal datore di lavoro. Il 98% dei contratti presenta, infine. clausole sui diritti parentali, ma il diritto alla paternità (inteso come diritto diverso dal semplice esercizio del congedo parentale/congedo di maternità in assenza della madre) è meno diffuso (39%).

È quanto emerge dall’analisi condotta dal Cnel su un campione di 90 contratti di lavoro italiani nell’ambito del progetto europeo Colbar, acronimo di “Europe-wide analyses of Collective BARgaining agreements”, avviato nel 2019 e concluso in questi giorni con l’approvazione della rendicontazione comunicata al Cnel dal Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion della Commissione Europea, che ha finanziato l’iniziativa nell’ambito del Programma relativo alle Relazioni industriali e al Dialogo sociale.

Il progetto prevedeva la costruzione di un database europeo di 600 contratti collettivi nazionali, l’analisi degli stessi attraverso uno schema di codifica degli istituti contrattuali e lo studio in chiave comparativa dei sistemi di relazioni industriali, a partire dalla contrattazione su elementi chiave come salario, orario di lavoro, diritti, organizzazione del lavoro, forme di previdenza integrativa e assistenza sanitaria. Il Cnel ha partecipato al progetto con un database per il 67% costituito dal settore privato.

“L’importanza dei contratti collettivi di lavoro è riconosciuta in molti Paesi, ma pochissimi gestiscono una banca dati e i database non sono omogenei né confrontabili. Tra i Paesi più rappresentati nel database vi è l’Italia. Il Cnel ha contribuito alla sua costruzione con decine di contratti nazionali sottoscritti tra il 2010 ed il 2020, riguardanti 18 settori economici, più il settore pubblico, le cooperative e il non profit – dichiara il presidente Tiziano Treu – La costruzione di un indicatore della qualità della contrattazione è di rilevanza non solo per monitorare i cambiamenti nella regolamentazione della disciplina del lavoro, ma per ‘ordinare’ i Ccnl secondo uno schema non solo quantitativo. Quest’ultimo deriva infatti dall’operazione ‘codice unico’ a regime da dicembre 2021, che consente di associare a ciascun codice contratto Cnel i “numeri” Inps in termini di unità produttive e lavoratori coinvolti”.

Queste analisi vanno nella direzione auspicata dall’Ocse sui criteri di misurazione della qualità delle relazioni industriali e dell’ambiente di lavoro. L’Ocse ha individuato 5 “dimensioni” idonee a costruire indicatori di qualità contrattuale, che sono tutte già presenti nello schema di classificazione adoperato per il progetto Colbar. Lo stesso schema sarà adottato nel nuovo progetto Barcovid, iniziato a luglio 2021, con l’obiettivo di studiare l’impatto della pandemia sulle relazioni industriali europee, l’evoluzione della concertazione tra parti sociali e governi nazionali durante l’emergenza e l’adozione di eventuali nuove pratiche nella fase di rinnovo/sottoscrizione, oltre ai nuovi istituti introdotti (lavoro a distanza, protocolli di sicurezza, etc.).