Nell’azione degli imprenditori dell’Italia medievale troviamo le radici vere della doppia legittimazione del lavoro e del profitto, cioè dello spirito d’impresa, che un secolo e mezzo dopo Coluccio Salutati, il grande cantore della Firenze mercantile, esprimerà con queste parole, che sono sviluppo dei temi di Albertano e anticipo di quelli che saranno di Cotrugli: «Consacrarsi onestamente ad oneste attività può essere una cosa santa, più santa che un vivere in ozio nella solitudine. Poiché la santità raggiunta con una vita rustica giova soltanto a se stesso […] ma la santità della vita operosa innalza l’esistenza di molti».
Pur nei limiti di una sintetica esposizione credo emerga da quanto ho detto la profonda verità di queste parole del grande storico del Medioevo Gioacchino Volpe: la crisi che agitò l’Italia a partire dall’XI secolo, «crisi di vecchiaia e di giovinezza, come sono sempre, del resto, la storia e la vita, è uno dei fatti più complessi, più significativi, più fecondi che la storia ricordi, e ad esso è risospinto sempre, come un ricco vivaio, chiunque voglia rintracciare i primi germogli di piante più vigorose, cioè il primo manifestarsi di forme di vita che poi acquisteranno forte rilievo, nel mondo delle istituzioni economiche e politiche, nel diritto e nella cultura tutta quanta». E bene dice Salvemini quando afferma: «I nostri gloriosi Comuni […] come hanno preceduto gli Stati moderni in tutte le manifestazioni di vita civile, così sono stati i loro precursori anche nei tentativi di sciogliere la società dai ceppi ecclesiastici del Medio Evo e a darle una forma perfettamente laica».
È affascinante, partendo da Albertano, seguire lo sviluppo grandioso di questi temi nei due secoli successivi, attraverso l’opera dei grandi mercanti, il pensiero liberatore dei grandi umanisti, giuristi, notai, dei mercanti stessi, spesso ottimi scrittori, dei creatori dei grandi organismi finanziari e della maggior parte degli strumenti che ancora oggi sono alla base delle nostre pratiche finanziarie, dei creatori della partita doppia e delle sofisticate tecniche di amministrazione, dei grandi viaggiatori che spesso erano, al tempo stesso, viaggiatori-imprenditori-mercanti-scrittori, dei creatori delle prime forme di associazionismo capitalistico basato sulla divisione, ma anche sul convergere, di capitale e lavoro. Chi «nel Medioevo gettò le basi del capitalismo occidentale, nella sua prima fase di capitalismo ‘commerciale’ fu il popolo italiano», scrive Philip Jones.
«Tout commençait alors», dirà Auguste Comte. È una lotta e un’epopea dell’operare e insieme del pensiero, dell’homo faber integrale, di profondità e interesse straordinari. E uno dei fili conduttori che accompagnano, senza soluzione di continuità, queste generazioni di lombardi, genovesi, fiorentini, veneti dal xii al xv secolo è l’operare imprenditorialmente, unito alla consapevolezza del valore di ciò. «Sempre t’afaticha e ti prochacia di guadagniare» è un pensiero che ricorre in tante fonti. Ciò che nobilita il guadagno è che esso è frutto dell’operosità, dell’industria, del nec otium, e che è, per questo, utile all’uomo. Mentre l’usura «era biasimevole non perché era condannata dalla morale canonista bensì in quanto era rovinosa e dannosa per l’onore e la buona forma del prestatore»21.