PALERMO – Al tempo del Coronavirus, anche le carceri di tutta Italia, invase da vere e proprie scene di guerriglia, sono sotto l’occhio del ciclone. Detenuti sui tetti, suppellettili in fiamme, infermerie prese d’assalto: 35 milioni di euro di danni, 600 posti letto in meno, dodici detenuti morti per overdose di psicofarmaci o soffocamento, tre in gravissime condizioni, 41 poliziotti feriti non in modo grave, 34 evasi (di cui undici appartenenti alla mafia del Gargano), 150mila euro di farmaci antidepressivi e metadone spariti nell’etere.
Da Milano a Palermo, passando per Roma e Foggia, la rivolta dei detenuti nelle carceri si è diffusa in tutta Italia allo slogan: “Amnistia e indulto contro il Coronavirus”. Le tensioni proseguono anche in queste ore, con le agenzie che continuano a battere casi di protesta negli istituti penitenziari. Sommosse che si sta cercando di arginare. La Protezione civile ha annunciato che distribuirà 100 mila mascherine e negli istituti sono state montate 80 tende di pre-triage per lo screening del Covid-19. Al contempo e al di là delle disposizioni generali del Governo, il ministero della Giustizia si è attrezzato con una serie di misure specifiche che hanno riguardato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, responsabile della gestione delle oltre 190 carceri per adulti in Italia, e quello per la Giustizia minorile e di Comunità, che gestisce i 17 istituti penali per minorenni italiani.
Un universo di circa 61.500 detenuti – a fronte di una disponibilità di posti inferiore di 10 mila unità (50.931 è la capienza regolamentare complessiva, considerando tutte le carceri italine) – cui si sommano le decine di migliaia di lavoratori che operano in carcere nei diversi ruoli. Oltre alle tende per i controlli, è stato disposto il blocco dei trasferimenti che interessano istituti penitenziari in zone a rischio, il divieto di accesso di operatori o altre persone provenienti da alcuni comuni e la sospensione ed eventuale sostituzione dei colloqui con i famigliari con telefonate ordinarie o via skype.
Se i detenuti gridano all’allarme da virus invocando la grazia, sostenuti da chi imputa l’emergenza al sovraffollamento delle strutture di detenzione, c’è anche chi, come il segretario generale del sindacato di Polizia penitenziaria s.pp. Aldo Di Giacomo, considera il sovraffollamento “un problema reale ma che poco o nulla a che vedere con le proteste dei detenuti di questi giorni”.
Un problema che riguarda da vicino anche la Sicilia, dove complessivamente i posti a disposizione, sulla carta, sono 6.495, ma i detenuti presenti arrivano a 6.590: cento in più. Un quadro che però è diverso da un penitenziario all’altro. In effetti, su ventitré istituti penitenziari presenti in Sicilia, appena più della metà (12) risultano in regola con la capienza dettata dalle normative, gli altri 11 presentano situazioni gravi, che in alcuni casi diventano drammatiche.
Stando ai dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 29 febbraio 2020, tra le carceri più sovraffollate ci sono il Pagliarelli di Palermo (dove 300 detenuti, la scorsa notte, hanno protestato per la sospensione dei colloqui nell’area dove si trovano i carcerati di media sicurezza), con 195 detenuti in esubero, l’istituto penitenziario di Siracusa (con 135 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare), poi Augusta (101 detenuti in esubero). A seguire l’istituto penitenziario P. Di Lorenzo di Agrigento (76 esuberi), l’istituto Bicocca di Catania con 71 esuberi, Piazza Lanza con 54 esuberi, Caltanissetta con 47 detenuti in più, l’Istituto Bodenza di Enna con 17 esuberi, poi Gela con 13, l’istituto A.Burrafato di Termini Imerese con un esubero di 11 detenuti, e infine il carcere di Piazza Armerina con un’eccedenza di 7 detenuti.
“Come le dicevo – rincara la dose Di Giacomo – c’è un problema di organizzazione: un esempio su tutti è costituito dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto”. Come si evince in tabella, l’istituto penitenziario disporrebbe ancora di ben 179 posti, attualmente vacanti e che potrebbero fornire un utile valvola di sfogo al sovraffollamento delle altre carceri sull’Isola.
Questa, secondo Di Giacomo, è la vera emergenza. “Nelle carceri italiane – commenta il sindacalista al QdS – c’è l’emergenza di un virus molto più pericoloso: la deficienza”. Il segretario contesta l’atteggiamento del Governo e le “troppe”, a dire del sindacalista, manifestazioni di solidarietà che remano in favore della concessione di amnistia e indulto. “Il motivo delle proteste – continua – non è assolutamente da ricercare nella sospensione dei colloqui, consideriamo che gli unici a manifestare il proprio dissenso contro la sospensione sono stati detenuti extracomunitari che, solitamente, non fanno colloqui”.
Una posizione controcorrente, quella dell’organizzazione sindacale, che definisce le rivolte balzate agli onori delle cronache solo un pretesto per tenere sotto scacco gli organismi governativi. “Le proteste continueranno – spiega Di Giacomo – utilizzando il Coronavirus come scusa per ottenere amnistia e indulto e tutto ciò con la compiacenza delle Istituzioni, ma la verità è che il carcere è il posto più sicuro contro il Coronavirus”.
Il riferimento è chiaro e a esplicitarlo è lo stesso Di Giacomo: “Giudico incomprensibile le rassicurazioni, a colpi di ‘non vi preoccupate’, del garante dei detenuti e del ministro della Giustizia”. Sì, perché per il sindacalista, “l’emergenza nasce in realtà negli ultimi due anni, quando lo Stato decide di non tenere più il controllo delle carceri”. E i dati parlano: l’anno scorso, nelle carceri italiane, sono stati rinvenuti duemila telefonini, (400 solo in Sicilia) e undici chili di cocaina. “Il problema reale è uno solo – sottolinea convinto il sindacalista – lo spaccio di droga”.
In effetti, stando ai dati del sindacato, nelle carceri siciliane, ogni anno, entrano 10 milioni di euro di sostanza stupefacente attraverso le visite dei familiari e l’art 21 dell’Ord. Penit. “La sospensione dei colloqui, e quindi l’impossibilità di ricevere sostanze stupefacenti, ha generato l’assalto delle infermerie interne alle carceri”. In questi giorni, infatti, i detenuti hanno preso di mira le infermerie e hanno fatto manbassa di oltre 150mila euro di psicofarmaci. “L’atteggiamento governativo – conclude Di Giacomo – sta volutamente fornendo il coltello dalla parte del manico ai carcerati. Se concediamo a questi piccoli delinquenti di continuare a delinquere in carcere e pretendere determinate misure, figuriamoci cosa possiamo concedere alle organizzazioni criminali”.
Appello anche del Garante siciliano Fiandaca che invita i reclusi alla collaborazione
Antigone: “Assicurare a tutti i detenuti un contatto telefonico con i familiari”
PALERMO – Mentre il garante regionale dei detenuti, Giovanni Fiandaca, invita i carcerati ad “assumere atteggiamenti auto-responsabili e di collaborazione, nella consapevolezza che le attuali misure restrittive sono temporanee (e quindi revocabili al migliorare della situazione), e servono innanzitutto alla tutela della salute di tutti”, a fare da eco alle parole di Aldo Di Giacomo è il leader del sindacato UilPa della Polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio.
“Non si dica – commenta De Fazio all’Ansa – che quanto sta accadendo è per il Coronavirus, ma è con il Coronavirus, perché il grave stato emergenziale che attanaglia le carceri, i detenuti e chi vi opera, è in essere da troppo tempo e solo l’improvvisazione di chi ha il dovere di gestirle politicamente, per conto dei cittadini, poteva non prevedere quello che sta accadendo in queste ore”. Stessa posizione, dunque, per i sindacalisti.
Ma sul fronte carceri c’è anche chi rema in un’altra direzione. E lo fa con un’ esplicita manifestazione solidale nei confronti dei detenuti, che si pone in netta contrapposizione con quella perorata dalle organizzazioni sindacali di settore. Si tratta di Antigone, l’associazione che si batte per assicurare diritti e garanzie nel sistema penale.
“Il nuovo decreto legge – dichiara il presidente Patrizio Gonnella – per rispondere all’emergenza Coronavirus contiene, nella parte relativa alla gestione degli istituti penitenziari, l’apertura a misure che avevamo sollecitato nei giorni scorsi riguardante l’aumento della durata delle telefonate e l’incentivo ad adottare misure alternative e di detenzione domiciliare”. Una mezza vittoria per l’associazione in difesa dei diritti dei detenuti che adesso lancia un appello alle Istituzioni. “Ci appelliamo – prosegue Gonnella – a tutti i direttori delle carceri e ai magistrati di sorveglianza affinché assicurino un contatto telefonico quotidiano dei detenuti con i propri famigliari e affinché più gente possibile, che sta scontando una parte finale della propria pena, possa accedere alle suddette misure alternative alla detenzione”.
Un grande sforzo, sostiene ancora l’associazione, che cozza e non poco con l’intento della nutrita corrispondenza tra i sindacati e l’Esecutivo nazionale e che, probabilmente, non tiene conto del sistema carcerario “retto – parafrasando le parole del segretario S.pp. Sicilia, Aldo Di Giacomo – da una regia occulta il cui unico interesse è avere il controllo delle carceri”.