Società

Coronavirus, “percezione esagerata del rischio” e fake news

“Se dico che sono preoccupato, e lo sono, mi dicono che sono uno sciacallo”.

Dopo aver sparso panico sulla “invasione” di migranti dall’Africa, il capo della Lega Nord Matteo Salvini da qualche tempo sta puntando la sua azione propagandistica sulla paura da coronavirus, in Italia al centro di un’autentica campagna mediatica che ha prodotto da una parte una “percezione esagerata del rischio”, dall’altra reazioni isteriche e razziste, riportate dalla cronaca.

Che la percezione del rischio sia esagerata lo afferma, in un articolo pubblicato tre giorni fa sul qualificato The Lancet, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Ma l’editoriale, dal titolo “Toning down the 2019-nCov media hype-and restoring hop” – un esplicito invito a diminuire il clamore mediatico e la conseguente isteria – è firmato anche da altri importanti scienziati internazionali: David S Hui, dell’Università di Hong Kong, Markus Maeurer, dell’Università tedesca di Magonza, Francine Ntoumi, della Fondazione congolese per la ricerca medica e Alimuddin Zumla, del Dipartimento di infettivologia dell’University di Londra.

Un cortocircuito a livello informativo

Secondo Ippolito, quando la velocità dell’emergenza accelera e i media rilanciano fonti diversissime, c’è il pericolo di un cortocircuito a livello informativo.

“Il ritmo rapido degli sviluppi – ha spiegato -, l’aumento dei tassi di rilevazione dei casi, insieme alla crescente diversità delle informazioni che arrivano, rende sempre più difficile per i media assimilare i dati e dare interpretazioni significative”.

Secondo il direttore scientifico dello Spallanzani, insomma, “il volume di informazioni trasmesse dalle autorità sanitarie globali oltrepassa la capacità di raccoglierle e analizzarle o di fare riferimenti incrociati e verificare con altri dati ricevuti e questa incapacità di convalidare le informazioni può alimentare la speculazione”.

Mancanza di analisi e fake news

Nascono così le fake news: notizie generiche, allarmanti, riferite senza citare alcuna fonte. E false.

“Alcune informazioni che arrivano da medici oltre frontiera – ha dichiarato ieri Salvini – riportano il fatto che i numeri che arrivano nelle nostre case non sono quelli veri. Quindi sì, sono preoccupato”.

Affermazioni che, proveniendo da una persona considerata da molti affidabile, suscitano preoccupazioni nei media e nel pubblico. Ma le cose non stanno così.

Ippolito, “Soltanto 307 casi in 24 Paesi”

“Al di fuori della Cina – spiega Ippolito nell’articolo sul Lancet -, sono stati rilevati 307 casi in 24 Paesi. Pertanto, sebbene diverse centinaia di pazienti rimangano in terapia intensiva, il tasso complessivo di mortalità ospedaliera rimane del due per cento”.

Da qui la necessità di “ridurre l’isteria sull’epidemia Sars-CoV2 e il sensazionalismo sulle nuove informazioni specialmente sui social media dove si cerca l’attenzione dei followers” (se trovate differenze nel nome, sappiate che il virus era stato chiamato provvisoriamente 2019-nCoV, poi codificato dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (Ictv) come Sars-CoV-2).

Secondo Ippolito gli “aspetti positivi” emersi fino ad oggi della lotta al Sars-CoV2 sono i test diagnostici rapidi, l’aumento della raccolta dei fondi per la ricerca e la corsa allo sviluppo di un vaccino che “dovrebbero avere dei titoli nei giornali mirati ad aiutare a rassicurare piuttosto che spaventare”.

L’isteria e il paragone con l’influenza

“Un modo efficace di mettere a fuoco questa epidemia – ha spiegato il direttore scientifico dello Spallanzani – è di confrontarla con quelle di altre infezioni del tratto respiratorio con potenziale epidemico. Sars-CoV2 sembra adattarsi allo stesso modello dell’influenza: con la maggior parte dei pazienti che si stanno riprendendo e con un basso tasso di mortalità. Inoltre le persone a rischio sono più anziane, gli over 65, immunodepresse o con altre malattie. Al momento non ci sono prove che Sars-CoV2 si diffonda più rapidamente dell’influenza o abbia un tasso di mortalità più alto”.

L’influenza dovrebbe spaventare molto di più

Ogni giorno le agenzie di stampa e i giornali riferiscono con allarme del numero sempre crescente dei morti per coronavirus in Cina. Un numero che ha superato le mille e cinquecento unità.

Provate però a calcolare la percentuale su una popolazione di circa un miliardo e mezzo di persone e vi renderete conto che si tratta di numeri ridicoli, tanto più se paragonati, appunto, a quelli dell’influenza.

“L’influenza – ha spiegato Gianni Rezza, capo del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità conclude – ogni anno provoca tra duecento e trecento morti dirette accertate in laboratorio, a cui va aggiunto un aumento della mortalità indiretta. E parliamo di un numero tra sette e ottomila morti all’anno per malattie cardiovascolari e respiratorie attribuibili alle conseguenze dell’influenza”.

Il virus “alieno” e quello “domestico”

Si è terrorizzati da un virus che non ha (ancora) causato morti e non si accolgono gli appelli alla vaccinazione per l’influenza, uccide ogni anno migliaia di italiani, qualche problema c’è. E riguarda la propaganda e le fake news.

Il coronavirus è “cattivo” perché alieno, straniero, “invasore”, e per questo fa paura anche se non ha ucciso nessuno. Per questo produce isteria e reazioni razziste nei confronti dei cinesi in Italia.

Ma non è un problema sanitario, è un problema di propaganda e di disinformazione: le fake news sono riusciti a suscitare sentimenti razzisti anche nei confronti di un microrganismo.

Pira, “Stiamo sottovalutando il fenomeno fake news”

“Riguardo al coronavirus stiamo sottovalutando il fenomeno delle fake news – ha dichiarato al Qds.it Francesco Pira, sociologo e docente di Comunicazione dell’Università di Messina e coordinatore didattico del master in Social media manager dello stesso ateneo – che i più continuano a ritenere siano prodotte da buontemponi. In realtà a produrre notizie false sono centrali internazionali con precisi interessi da salvaguardare che attaccano tre momenti fondamentale del nostro vivere sociale: economia, politica e scienza”.

Pira ha sottolineato che le fake news, sfruttando l’ignoranza (“ricordate la battaglia dei vaccini, quando persone assolutamente incompetenti si arrogavano il diritto di pontificare su temi scientifici producendo solo confusione?”) sono estremamente resistenti.

“Studi ci dicono – ha dichiarato – che il sessantacinque per cento delle notizie false che condividiamo nelle cosiddette cascate informative, nei gruppi che si formano, come le echo cambers (gruppi profilati sulle nostre stesse opinioni), derivano dal fatto che su certi temi non cerchiamo verità ma conferma alle nostre convinzioni. Che non cancelliamo cioè dalla nostra mente le notizie false anche se ci viene provato che sono false: qualunque smentita non ha la stessa forza della fake news”.

“La disinformazione così prodotta – ha concluso – è utile a danneggiare un posizionamento in borsa, la reputazione di un individuo, di un’azienda, di un partito o di un intero Paese o di un gruppo etnico. Sono paura e odio generati dalle fake news, guidati dagli algoritmi dei social e dal sistema delle echo chambers, a farci mettere ogni giorno in discussione tutto. Con il fine di guadagnare voti o denaro”.

Il Ministero della Sanità ha provato a difendersi

Secondo Pira una buona reazione, sul caso delle fake news sul coronavirus, l’ha avuta il Ministero della Sanità.

“Ha coinvolto – ha sottolineato il sociologo – divulgatori come Michele Mirabella per ridurre gli isterismi. E il ministro Speranza ha, giustamente, cercato una sponda nei social media, a cominciare da Twitter, per far diventare il Ministero un punto di riferimento. Ma si tratta di una risposta lenta: la propaganda sa immettere sul mercato dell’informazione fake news crossmediali, che passano da Facebook agli altri social ai giornali, alle quali non si può replicare immediatamente”.

“Il potere dell’algoritmo, dunque – ha concluso – può essere combattuto soltanto con l’informazione di qualità, attendibile e sana. E su questo editori e giornalisti devono fare un ragionamento. Ma anche sotto il profilo legislativo va trovata una strada. La Francia ci ha provato, ma, poiché si tratta di un problema mondiale, è su quel livello che bisogna operare”.

Hu Lanbo e l’effetto delle fake news

Nei giorni scorsi Qds.it ha pubblicato un articolo in cui Hu Lanbo, direttrice della rivista Cina in Italia, spiegava come l’allarme legato al coronavirus fomentato dalle fake news stia mettendo a dura prova l’amore dei cinesi che vivono nella nostra penisola per il Belpaese.

“In questi giorni – si legge nell’articolo -, l’Italia ci sembra una sconosciuta. Per le strade aleggia ancora l’aroma di caffè, il cielo è sempre dello stesso azzurro, il sole splende come prima, fa buio tardi e la primavera è alle porte… ma gli sguardi della gente sono cambiati. Ci guardano come se noi cinesi fossimo dei virus ambulanti, alcuni arrivano a insultarci e maltrattarci”.

Parole sulle quali riflettere seriamente.

Influenza, verso i sette milioni di casi in Italia

Intanto, proprio in questi giorni sono state diffuse le previsioni sul virus influenzale, quest’anno particolarmente aggressivo, che pare abbia raggiunto il suo picco e che dovrebbe chiudersi a sette milioni di casi.

“Probabilmente – ha detto il già citato Gianni Rezza – non arriveremo agli otto milioni di casi registrati nel 2018-19, ma oltre i sette sicuramente sì. Ci aspettavamo qualcosa di meno, si tratta di un’attività abbastanza alta, per il terzo anno consecutivo”.

Secondo l’ultimo aggiornamento del bollettino di sorveglianza InfluNet, a cura dell’Istituto superiore di sanità (Iss), dall’inizio della sorveglianza sono stati superati i cinque milioni di casi. La notizia positiva è che l’influenza comincia lentamente a mettere a letto meno persone.

Le scuole fattore di amplificazione dell’epidemia

“Prima se ne va l’influenza – ha detto Rezza – e meglio, non solo per i rischi collegati alle sue complicanze, ma anche perché, qualora dovesse arrivare davvero il coronavirus in Italia, fare una diagnosi differenziale potrebbe essere molto più complicato”.

Il coronavirus, infatti, “provoca più polmoniti virali rispetto alla normale influenza ma ci sono molti casi in cui può manifestarsi con sintomi che possono confondersi”.