Ambiente

Coronavirus, quel sottile filo rosso che lega lo smog alla pandemia

ROMA – C’è un legame tra inquinamento e diffusione del coronavirus? È probabilmente una delle domande più discusse degli ultimi mesi, ma ancora non c’è una risposta univoca da parte della comunità scientifica. In Italia, in particolare, gli occhi dei ricercatori sono puntati su quella che fino ad ora è solo una supposizione basata, perlopiù, su un dato di fatto: nei centri della Pianura padana, una delle zone più inquinate d’Europa, il numero dei contagi è superiore al resto del Paese, in particolare se si confronta il dato con quello delle regioni del Mezzogiorno, dove l’infezione sembra attecchire con più difficoltà. Ma andiamo per ordine.

Qualche settimana addietro ha fatto molto rumore una ricerca pubblicata sulla rivista “Environmental pollution” e condotta dalle Università di Siena e Aarhus in Danimarca. Secondo il team di studiosi, per farla breve, il tasso di mortalità nel Nord Italia potrebbe essere in qualche modo correlato a quello dell’inquinamento. Un primo indizio arriverebbe dall’indicatore della mortalità in Italia che in media è più contenuto di quello registrato in Lombardia ed Emilia Romagna. Secondo la ricerca, in queste regioni, le persone risulterebbero indebolite dall’esposizione prolungata allo smog che pertanto sarebbe un co-fattore “aggravante” della malattia. In “aree con elevati livelli di inquinamento”, scrivono gli esperti, si ha una maggiore sensibilità “a sviluppare malattie respiratorie croniche”, rendendo gli individui più “vulnerabili a qualsiasi agente infettivo”.

Un altro studio, condotto da una decina di ricercatori della Sima (la Società italiana di medicina ambientale) e dagli Atenei di Bologna e Bari, ha posto l’accento su un altro aspetto. In questo caso si guarda alle caratteristiche strutturali del particolato che fungerebbe da “vettore” per la diffusione del Covid-19. Secondo la ricerca, a differenza delle regioni del Sud dove la curva epidemica mostra un andamento “normale”, nelle aree settentrionali si osservano “accelerazioni anomale proprio per quelle ubicate in Pianura Padana in cui i focolai risultano particolarmente virulenti e lasciano ragionevolmente ipotizzare una diffusione mediata da carrier, ovvero da un veicolante”. Quest’ultimo sarebbe appunto lo smog, che svolgerebbe un’azione di boost, per dirla con gli scienziati, cioè di impulso alla diffusione dell’epidemia.

Non solo fattori aggravanti, ma anche “attenuanti”. Su questi si è concentrato un altro lavoro svolto alla fine di marzo da Marco Trapanese, docente della Facoltà di ingegneria di Palermo, teso a dimostrare la differente modalità di propagazione del virus nelle zone di mare rispetto a quelle industriali. Tra le tante riflessioni interessanti, si faceva riferimento, sulla base dell’utilizzo di un modello matematico per il calcolo dello sviluppo di un’epidemia, al minore impatto dei contagiati a Palermo rispetto all’Italia e alla Lombardia (rispettivamente 10 e 100 volte in meno considerando i casi per unità di persone) mentre a Catania l’inquinamento avrebbe avuto un impatto più importante, almeno rispetto alla Sicilia, perché più industrializzata, con un aeroporto vicino alla città e con le emissioni dell’Etna.

A smorzare, però, i toni è intervenuto nei giorni scorsi l’Istituto superiore di sanità, secondo il quale è al momento “molto incerta” una valutazione di associazione diretta tra elevati livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione dell’epidemia Covid-19, o del suo ruolo di amplificazione dell’infezione. Secondo l’Iss uno studio con il corretto approccio scientifico potrà essere svolto “solo quando l’epidemia e l’emergenza saranno terminate” e si potrà svolgere un’analisi comparativa su scala europea e internazionale.

L’Istituto è comunque abbastanza scettico circa la possibilità che l’inquinamento abbia una qualche responsabilità: “Se è vero che la diffusione del virus si è presentata attraverso focolai circoscritti all’interno di zone della Pianura Padana sottoposte a valori di inquinamento atmosferico elevati e piuttosto omogenei, è anche vero – precisa l’Istituto – che altre aree a forte inquinamento, anche se prossime, sono rimaste inizialmente escluse e interessate, solo successivamente, con minor forza dalla contaminazione”.

Le ragioni di una maggiore diffusione dell’infezione al Nord, secondo l’Iss, risiederebbero in particolare nella più ampia presenza di “aziende con vocazione e crescita internazionale che hanno continui e frequenti rapporti con paesi stranieri (tra cui Usa e Cina), con conseguente alta mobilità dei lavoratori”. Infatti, conclude l’Iss, “molti approfondimenti epidemiologici in corso evidenziano proprio la componente legata ai rapporti di lavoro internazionali con il conseguente contagio diretto tra persone, oltre all’iniziale diffusione del contagio in strutture sanitarie (ospedaliere e Rsa) che ha agito quale forte moltiplicatore dell’infezione, quando non si aveva notizia dell’avvenuto ingresso del virus sul territorio italiano”.

La questione, però, è tutt’altro che chiusa e probabilmente se ne discuterà molto anche nei prossimi mesi. Per dare risposte più esaustive è nata un’alleanza scientifica tra Enea, lo stesso Istituto superiore di sanità e il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (che ingloba Ispra e le varie Arpa). Insieme hanno dato il via al progetto di ricerca congiunto denominato “Pulvirus”, che si propone tra l’altro di approfondire il legame tra inquinamento e pandemia, con un focus sulle interazioni fisico-chimiche-biologiche tra polveri sottili e virus. Il progetto si svilupperà nell’arco di un anno ma i primi risultati significativi si aspettano già fra pochi mesi.

L’unica cosa che al momento appare certa, in tema di smog, è il miglioramento della qualità dell’aria nei grandi centri urbani d’Italia a seguito delle misure restrittive. Come abbiamo scritto recentemente, riportando il monitoraggio dell’Arpa Sicilia condotto tra marzo e aprile, nell’Isola il lockdown – e la conseguente riduzione del traffico veicolare – ha comportato a Palermo e a Catania un taglio delle emissioni di ossidi di azoto e benzene pari ad oltre il 60%.