CATANIA – Da qualche mese i governi di tutto il mondo stanno combattendo una “guerra” contro un nemico invisibile, il coronavirus, ma è da anni, almeno da quando il problema è diventato manifesto, che è in corso un’altra grande sfida per l’umanità, più pericolosa perché irreversibile, ovvero il cambiamento climatico. L’altra emergenza, spesso ignorata, e su cui ora la pandemia ci costringe a riflettere.
Satelliti e scatti condivisi sui social da ogni angolo del Pianeta ci consegnano le immagini di una natura che torna prepotentemente a farsi sentire. Gli animali “pascolano” nei centri urbani, dove l’erba incolta si fa strada lungo l’asfalto, e l’aria torna a farsi leggera, senza più quel sapore di fumo e metalli a cui ormai non facevamo più neanche caso. In Sicilia, per esempio, l’inquinamento di grandi città come Palermo e Catania si è ridotto fino al 60% stando a un monitoraggio effettuato da Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) tra marzo e aprile. E ora? Adesso che stiamo entrando nella celeberrima “fase 2” torneremo a respirare azoto e benzene? Torneremo a impermeabilizzare il suolo, continuando la folle corsa del cemento, nonostante ci sia un patrimonio edilizio da riqualificare, con centri storici che stanno letteralmente cadendo a pezzi?
Nella nostra Isola ci sono quasi un milione e mezzo di abitazioni inutilizzate, spesso perché fatiscenti, e nonostante il calo demografico degli ultimi anni, il consumo di suolo non si è mai fermato, tanto che l’Istat e l’Ispra ci inseriscono tra le regioni con la progressione più accentuata. Nel 2018 sono andati persi ancora 186.719 ettari, 300 in più di quelli consumati l’anno prima. Uno scarto grande quasi quanto l’intero Parco della Favorita, il polmone di Palermo. Un danno enorme che determina, tra l’altro, la perdita di servizi ecosistemici, aggrava il dissesto idrogeologico e riduce le possibilità di abbattere le emissioni di CO2.
Di questi aspetti e della necessità di ripartire pensando a un futuro rispettoso dell’ecosistema che ci circonda, ne abbiamo parlato con il professore Paolo La Greca, ordinario di urbanistica nell’Università di Catania e presidente nazionale del Centro studi urbanistici di Roma.
Professore, la scorsa settimana si è celebrata la Giornata della Terra, ma c’è poco da festeggiare. Come scrive l’Istat, nonostante l’Ue abbia l’obiettivo di azzerare il consumo di suolo, questo continua a crescere con la Sicilia tra le regioni più “cementificate”. Non ritiene che il nostro Paese abbia la grande opportunità di ripensare non tanto a una fase 2, ma a una vera strategia di rilancio sostenibile dell’edilizia, partendo dalla riqualificazione dell’esistente? Lei da dove partirebbe?
“La difficile contingenza che attraversa il nostro Paese e il mondo intero, sollecita la nostra capacità di riflessione per comprendere il difficile presente ma, al tempo stesso, ci obbliga a mobilitare le nostre competenze per tentare una cauta progettazione di un futuro possibile.
In ogni condizione catastrofica possono germogliare semi di rinnovamento radicale. L’occasione deve essere questa. Ulrich Beck lo chiama il ‘catastrofismo emancipativo’: è l’esperienza della catastrofe, violando le norme ‘sacre’ di civiltà e umanità, che produce uno choc antropologico a partire dal quale si crea una possibilità di risposte istituzionali ma non in modo automatico, solo attraverso una serie di sforzi culturali e politici. Sono proprio questi sforzi culturali e politici che, ciascuno secondo le proprie possibilità e i propri ruoli, dobbiamo perseguire con forza.
è questo il momento in cui bisogna iniziare a coltivare il cambiamento e riflettere sulle strade passate da non percorrere più per pensare al domani già da oggi. Riflettendo sulle conseguenze che la pandemia avrà sulle città e i territori, ci accorgiamo che emergono proposte che, seppur per certi versi innovative, riprendono strategie e metodi pienamente condivisi, sui quali si ragiona da tempo per costruire una nuova urbanistica rigorosa e creativa. Una pianificazione che contribuisca all’evoluzione ecologica degli insediamenti, mossa dal principio guida di rendere l’ambiente urbano e i territori i più gradevoli per la convivenza fra le persone.
Si deve proseguire verso uno sviluppo sostenibile nella triplice accezione sociale, economico e ambientale. Questa è l’unica risposta certa da dare per la nostra sopravvivenza sul Pianeta. Le immagini della laguna veneziana piena di pesci o quelle delle acque del Po, azzurre anche a Torino, sono emblematiche di come il forzato e improvviso fermo di ogni attività abbia permesso al nostro pianeta di tirare, per così dire, un respiro di sollievo. L’immagine di una Terra malconcia, una triste Gaia di James Lovelock, che ringrazia il Covid-19 è forse, fra le tante, quella più evocativa.
Con riferimento più diretto all’edilizia, siamo obbligati a ripensare sia i metodi che i processi per il progetto dello spazio destinato alle attività ed alle relazioni umane. È uno sforzo intellettuale, tecnico e scientifico di vaste proporzioni poiché implica ripensamenti radicali di pratiche consolidate. L’irruzione della telematica, dello smart working (passato da 400.000 a 8 milioni di utenti), le nuove funzioni che si profilano per le abitazioni (lavoro, studio a distanza, pratica sportiva, svago…) richiedono un investimento in sostenibilità e nuove forme di piani per l’edilizia residenziale. Gli alloggi devono essere pensati per ospitare nuove funzioni e quelli esistenti devono essere rifunzionalizzati. È necessaria la rigenerazione (anche attraverso la demolizione e ricostruzione) del patrimonio residenziale obsoleto, sia pubblico che privato, per renderlo sostenibile sia sotto il profilo delle prestazioni di sicurezza che di efficienza energetica ma anche sul piano degli scambi sociali nella difficile prospettiva, per certi versi antitetica, di rispondere alle esigenze di distanziamento e allo stesso tempo di vicinanza e integrazione. Si rende ancor più opportuna la dimensione di intervento del progetto urbano complesso e integrato, dove far convergere tutte le risorse e le azioni di riefficientamento e di risanamento alle diverse scale”.
Il presidente Musumeci ha istituito una cabina di regia per un Piano territoriale regionale, di cui lei fa parte. A che punto sono i lavori?
“La lodevole iniziativa del Presidente Musumeci, con l’assessore Cordaro e il dirigente generale dell’Urbanistica, va compresa insieme all’altra, altrettanto importante, che è la proposta di riforma della legge urbanistica regionale che la Sicilia, unica fra le regioni italiane, non aveva ancora avviato. Il Ptr agirà individuando le vocazioni territoriali che gli altri strumenti di governo del territorio devono perseguire, costruendo un quadro preciso di indirizzo per i piani sott’ordinati contribuendo, primariamente, all’azzeramento del consumo di suolo e alla valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale della regione.
Il Ptr è lo strumento indispensabile per il coordinamento e l’integrazione fra le scelte di trasformazione territoriali e la pianificazione economica; una condivisa necessità endogena utile, anche, per incontrare gli obblighi imposti dalle istituzioni comunitarie che richiedono efficaci pianificazioni come presupposto per l’accesso ai finanziamenti. Il Ptr deve essere in grado di portare a sintesi unitaria le istanze riconosciute di tutela, da un parte, e l’assunto costituzionale, dall’altra, che ‘l’iniziativa economica privata è libera’ pur se questa libertà garantita ‘non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale’ e, dunque, in primo luogo con i principi della tutela del territorio e delle scelte urbanistiche che dei principi di giustizia ed equità sociale sono componente costitutiva.
Deve essere perseguita una pianificazione unitaria del territorio regionale, integrando efficacemente iniziative che, invece, spesso vedono enti, assessorati, attori pubblici e privati agire in maniera separata. È indispensabile che lo scambio e l’integrazione di compiti e funzioni fra gli enti che hanno responsabilità nella programmazione e nella pianificazione diventi la norma, nella convinzione che a un territorio debba corrispondere un solo piano, condizione presupposta per perseguire l’obiettivo primario dell’efficienza del processo pianificatorio e, attraverso l’efficacia degli esiti di quel processo, contribuire a conseguire l’obiettivo primario dell’eccellenza e della qualità”.
Erosione e sfruttamento delle coste. Nell’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale urbanistica esce fuori un quadro drammatico per l’Isola. Con buona parte delle coste inaccessibili a causa di erosione e abusi e con gli stabilimenti balneari che dovranno attuare misure restrittive, quest’anno il mare sarà un privilegio di pochi cittadini facoltosi?
“Sono fiducioso che la natura, per così dire, influenzale del Covid-19 ci consentirà di godere del nostro mare nell’imminente stagione seppur con opportune precauzioni. Colgo lo stimolo posto dalla domanda per ribadire che la questione dell’erosione delle nostre coste e, più in generale dell’assetto idrogeologico, sono campi del Ptr. Esso agisce nella prospettiva della tutela e valorizzazione degli ecosistemi naturali e del paesaggio; esplica la sua azione efficace muovendo da un ambito sovra comunale. È questa la scala a cui riferirsi avendo come fine principale l’integrazione fra il governo delle trasformazioni necessarie e la salvaguardia del territorio. Come affrontare altrimenti scelte che riguardano i paesaggi unitari e non divisibili, i bacini dei fiumi, le catene montuose, i laghi, le coste, i vulcani e tutto lo straordinario patrimonio, denso di memoria, del nostro territorio? Questa dimensione supera le separatezze e le politiche parcellizzate e obbliga a una visone olistica che, superando i ristretti confini locali e la sommatoria dei singoli interessi particolari, riesca a sovrintendere, in un prospettiva di pianificazione continua, allo sviluppo sostenibile del territorio”.