Arriva in Sicilia il picco epidemico. Si arriva, forse, non si sa. Al momento non c’è la temuta ondata di contagi sul modello lombardo-veneto, ed è una fortuna che non ci sia stata l’impennata esponenziale che ha messo in ginocchio quella che viene definita la sanità d’eccellenza del nostro Paese, perché se quei numeri si fossero registrati nello stesso periodo in Sicilia non sappiamo davvero come sarebbe andata a finire. Non sappiamo ancora se l’attuale andamento, se non addirittura il rallentamento, di questi giorni nei pazienti risultati positivi e nei ricoveri ospedalieri sia veritiero e se possa lasciare spazio alla speranza di vedere diluiti nel tempo i numeri dei casi che necessitano di cure in terapia intensiva, perché nella nostra Regione i posti letto con ventilazione assistita sono aumentati in misura modesta rispetto ai reali bisogni che potrebbero emergere con un dilagare del contagio. Non siamo mica la ricca Lombardia che in appena dieci giorni ha allestito e attrezzato ben 100 nuovi posti letto di terapia intensiva.
Come operatori sanitari viviamo sospesi in una realtà in cui prevalgono incertezze, che finiscono per generare uno stato d’apprensione che non ci consente ancora di guardare al futuro prossimo con la fiducia che vorremmo. L’unica certezza che abbiamo è quella di sentirci in una condizione di assoluta precarietà davanti alla scarsa o in certi casi assente dotazione di adeguati presidi di protezione individuale e dei necessari strumenti tecnologici in grado di aiutarci ad affrontare un’emergenza sanitaria come quella attuale.
Non possiamo non rendere atto al Governo Regionale di aver fatto le giuste valutazioni sull’epidemia da coronavirus fin dalle prime battute, fin dai primissimi casi di Codogno e Vo Euganeo, quando il Presidente Musumeci intuì la necessità di limitare gli arrivi dal Nord nella nostra Isola e che per questa semplice constatazione e per l’invito rivolto a non recarsi in Sicilia dalle zone rosse venne incautamente linciato mediaticamente.
Certo avremmo desiderato una più celere e concreta reazione della macchina organizzativa della Sanità siciliana, ma ci rendiamo conto di quanto sia difficile, se non impossibile, colmare i gap creatisi in decenni di sottovalutazione dell’intero Sistema Sanitario Regionale, caratterizzato prima di ogni altra cosa dalle clientele, tanto nella designazione dei dirigenti che quel sistema gestiscono, quanto nella pianificazione di una rete sanitaria che ha sempre penalizzato l’assistenza territoriale in una visione ospedalocentrica, spesso fatta di inutili doppioni a scapito di ciò che serve realmente. Anche l’individuazione dei Primari è stata troppo spesso ispirata da scelte di tipo clientelare e oggi, nel momento in cui emerge prepotente il bisogno di solide capacità professionali, gestionali, umane e caratteriali, ci si rende conto di quali disastri ha procurato l’indebita e pervicace intromissione della politica nella sanità e, dobbiamo riconoscere, di come la classe medica si sia abbandonata e a volte svenduta ad un sistema in cui viene premiato il servilismo piuttosto che il merito.
In un simile contesto, in cui agli atavici ritardi strutturali e organizzativi e alle défaillance gestionali si aggiunge impietosa l’esiguità di presidi sanitari indispensabili a fronteggiare la drammatica emergenza epidemica, non riusciamo certamente a dormire sonni tranquilli. La cruda realtà è che ci si affida più alla clemenza dei numeri piuttosto che alle capacità di reazione del nostro sistema sanitario regionale.
Nonostante tutto ciò, registriamo comunque l’impegno dei vertici regionali della sanità nel tentativo quasi disperato, di farcela, di provarci. Si tenta almeno di riorganizzare in tempi ristrettissimi le strutture sanitarie pubbliche convertendole in centri Covid, si cerca di reperire posti letto ordinari e di rianimazione anche se le attrezzature stentano ad arrivare, si assume in fretta e furia quel personale che mancava da troppo tempo, cercando di risolvere un problema troppo a lungo ignorato. Come sempre però il rovescio della medaglia è che, come in passato, anche in questa occasione non si tengono in debito conto suggerimenti e proposte degli addetti ai lavori che, almeno in una situazione tanto critica come la attuale, potrebbero essere ascoltati un po’ di più.
Tutto il personale sanitario aspetta dunque, con più di un patema, l’evolversi della situazione, preparandosi al peggio nella speranza che il peggio non debba mai arrivare. In questo clima di incertezze, un’altra certezza è che questo personale sanitario, dai medici agli infermieri, dai tecnici-sanitari ai biologi, dai farmacisti ai sociosanitari, pur troppo spesso bistrattato, tradito, dimenticato, non si è tirato mai indietro e non lo farà neanche in questo caso. Noi ci siamo, pronti a fare tutto quello che è in nostro potere per accogliere, curare e assistere tutti quelli che ce lo chiederanno. Ma non perché qualcuno ci chiama eroi o angeli, soltanto perché è quello che facciamo tutti i giorni della nostra vita.
Giuseppe Bonsignore
Responsabile Comunicazione Cimo