CATANIA – Dall’emergenza sanitaria all’emergenza lavoro nero. A lanciare l’allarme è la Cgia di Mestre, secondo cui una fetta dei 3,6 milioni di lavoratori, che rischiano di perdere la propria occupazione entro la fine dell’anno, potrebbe essere assorbita dall’economia sommersa.
Gli effetti della pandemia sull’economia italiana sono stati pesantissimi. Confrontandoli con quelli dello stesso periodo del 2019, emerge che nei primi sei mesi di quest’anno quasi tutti i principali indicatori economici del Paese (Pil, produzione industriale, investimenti, consumi e commercio) sono preceduti dal segno meno.
Gli ultimi dati disponibili segnalano che in Italia ci sono oltre 3,3 milioni di occupati in nero e il 38% del totale è presente nelle regioni del Sud. Un esercito di cosiddetti invisibili costituiti prevalentemente da lavoratori dipendenti che per una parte della giornata fanno il secondo/terzo lavoro, da cassaintegrati o pensionati che arrotondano le piccole entrate o da disoccupati che in attesa di rientrare nel mercato del lavoro sopravvivono grazie ai proventi riconducibili a un’attività irregolare. Oscuri ad Inps, Inail e Fisco, causano, soprattutto, effetti economici devastanti, producendo 78,7 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso. La prospettiva – teme la Cgia – è che una volta esaurita la cassa Covid, sarà l’economia sommersa a fare da ammortizzatore per questi soggetti.
Entrando nel dettaglio territoriale la situazione più critica si presenta, tanto per cambiare, nel Mezzogiorno. A fronte di poco più di 1.253.000 occupati irregolari (pari al 38% del totale nazionale), nel Sud il valore aggiunto generato dall’economia sommersa è pari a 26,8 miliardi di euro, che corrisponde al 34% del dato nazionale.
Come detto, quindi, sono le regioni del Mezzogiorno ad essere maggiormente interessate dall’abusivismo e dal lavoro nero. Secondo le ultime rivelazioni dell’Istat relative al 1° gennaio 2018, in Sicilia il tasso di irregolarità è pari al 19,4% (296.300 irregolari), in Calabria al 21,6% (136.400 irregolari), in Campania al 19,8% (370.900 lavoratori in nero, in Puglia al 16,6% (229.200) e nel Lazio al 15,9% (428.200).
Dimensioni più contenute, invece, si registrano nel Nordest, dove il valore aggiunto prodotto dal sommerso è pari a 14,8 miliardi di euro. In Veneto, ad esempio, il tasso di irregolarità è pari al 9,1% (206.200 irregolari), in Emilia Romagna al 10,1% (216.200 irregolari), in Valle d’Aosta è al 9,3% (5.700), e nella provincia autonoma di Bolzano è pari al 9% (26.400), tutte al di sotto della media nazionale, che si attesta al 13,1%.
L’esplosione dell’esercito di abusivi e lavoratori in nero non sarebbe un danno solo per le casse dell’erario e dell’Inps, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali. I lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto.
In questa prospettiva – afferma l’Ufficio Studi – è importante che le forze politiche e l’opinione pubblica prestino particolare attenzione a questo fenomeno per far sì che quello che al momento è “solo” un rischio, possa diventare presto realtà.