Intervista

Covid 19, tra disinformazione e fake news durante la pandemia

Per un italiano su due la comunicazione sul covid-19 è stata confusa.
Per il 49,7% degli italiani la comunicazione sul covid-19 è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva e per il 13,9% equilibrata. Essenziale il ruolo delle 4389 agenzie di comunicazione, dove lavorano 8311 professionisti. Rischio disinformazione: 29 milioni di italiani durante l’emergenza sanitaria hanno trovato sul web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate.

Questo e molto altro è emerso dal rapporto Ital Communications-Censis su “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”. Ne abbiamo parlato con Francesco Pira, da giugno 2020 presidente dell’Osservatorio nazionale sulle fake news di Confassociazioni, giornalista, sociologo e professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, insegna comunicazione e giornalismo al Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina.

Sono 38 milioni gli italiani (il 75,5% del totale, che salgono al 94,5% tra gli over 65enni) che durante la pandemia hanno cercato informazioni sul covid-19 sui media tradizionali, come televisione, radio e stampa. Una prova importante per l’informazione italiana. Secondo lei è stata superata bene?

Una percentuale non indifferente, ma posso affermare con certezza che il fenomeno delle fake news si è confermato in tutta la sua gravità anche in questa occasione. Non a caso il Word Economic Forum da tempo ha inserito la diffusione della disinformazione tra i principali rischi globali. Piaccia o no, la nostra società è pervasa dall’uso irresponsabile delle notizie, che ha dilagato anche durante l’emergenza coronavirus. Non bisogna mai dimenticare questo problema, guai ad abbassare la guardia.

Le fake news rappresentano il grande nemico della credibilità dei media e il motore della post verità e non si tratta di un fenomeno a carattere casuale o episodico. Assistiamo, purtroppo, ogni giorno a una vera e propria invasione di questa tipologia di notizie. E sono i numeri a sottolinearlo: a quasi il 60% degli italiani è capitato di considerare vera una notizia letta su internet che poi si è rivelata falsa, mentre il 23% ha condiviso in rete contenuti per scoprire successivamente che erano infondati. In particolare, le principali vittime delle fake news sono coloro che sulla rete vanno in modo saltuario.

Sono 29 milioni (il 57% del totale) gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato, sul web e sui social media, notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate su origini, modalità di contagio, sintomi, misure di contenimento o cure relative al covid-19. Quanto può essere importante il fact checking nel giornalismo del domani?

La pandemia da Covid 19 ha mostrato il fenomeno in tutta la sua gravità, in un altalenante ciclo di informazioni spesso contraddittorie che hanno pesato enormemente nell’opinione pubblica, generando una pericolosa situazione di infodemia, con una quantità eccessiva di informazioni circolanti che hanno reso difficile alle persone comprendere ciò che stava accadendo e individuare fonti affidabili. Dalla infodemia siamo passati alla psicodemia, con le persone che hanno cominciato ad avere paura, attacchi di panico. Oggi, perdura un clima d’incertezza che il sistema dell’informazione fatica ad interpretare.

Diventa improcrastinabile il superamento della crisi del giornalismo, deve riacquistare il suo ruolo di “Cane da guardia della democrazia” proprio mettendo in campo un’opera costante di smentita delle fake news. In questa battaglia “diventa fondamentale il fact checking, il controllo delle fonti un tempo rigorosa regola dei media tradizionali”, Wolfgang Blau, direttore delle strategie digitali della testata britannica The Guardian, sostiene che “Adesso che così tanti cittadini consumano notizie attraverso i social media, compito sociale del giornalista consiste anche nello smontare false voci, una volta che superino una certa soglia di visibilità”.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario che le testate giornalistiche costruiscano a poco a poco una propria comunità di lettori individuando, attraverso network di professionisti, temi sensibili per l’opinione pubblica e puntando sulla qualità dei contenuti e l’utilizzo di format innovativi da declinare con diversi strumenti: carta stampata, tv, radio e web”. Si tratta ovviamente di un percorso lungo e costoso ma soltanto l’autorevolezza così conquistata può difendere la democrazia dal qualunquismo e dalla propaganda.

Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’editoria, Rocco Giuseppe Moles: “E’ fondamentale riconoscere che il ruolo delle piattaforme sociali, strumenti importanti ma in alcuni casi ‘tossici’, pone questioni di carattere giuridico, tecnologico e culturale. I social network oggi tendono a svolgere una funzione impropria, pubblicando in alcuni casi solo ciò che vuole ‘sentirsi dire’ il pubblico. Tutto ciò ci conduce ad un ecosistema chiuso in cui si perde la capacità di discernimento riguardo a quanto accade, soprattutto rispetto alla verità dei fatti. In tal senso, sarebbe indispensabile che i giganti del web cooperassero con i produttori di informazioni per rendere l’ecosistema digitale sempre più sicuro e trasparente. La pandemia può essere la ghiotta occasione per sperimentare modelli sociali e istituzionali del futuro”. Cosa ne pensa?

Inutile negarlo quando sui social circolano notizie che riguardano la scienza e, in particolare l’area medico-sanitaria, è difficile stabilire se una notizia è vera o falsa. Certo qualcosa di molto serio è successo se, dopo un mese di covid in Italia, Facebook si è posto il problema di capire come fermare le fake news. Diventa evidente che le fake news destrutturano anche la credibilità dei social network. L’utilizzo degli strumenti digitali, nonché delle piattaforme, è uno degli aspetti più interessanti da analizzare nell’emergenza covid-19. Il dato emerge da una bellissima ricerca condotta dall’Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social e Istituto Piepoli, secondo cui l’80% degli italiani considera molto utile l’utilizzo di social network e chat per comunicare con le istituzioni e ricevere informazioni e servizi.

Sicuramente condivisibile quanto ha dichiarato Francesco Di Costanzo, Presidente di PA Social, secondo il quale “l’emergenza ha acceso un faro enorme sul digitale, sugli strumenti di comunicazione e informazione come social e chat, sulle modalità di lavoro smart la necessità ha creato attenzione su tante tematiche che, purtroppo, non sempre sono state messe al centro dell’agenda e delle politiche del Paese”. Il futuro della comunicazione istituzionale, d’impresa e anche sociale è molto legato ai social network Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, YouTube, TikTok o in chat come WhatsApp, Telegram e Messenger.

Sono già diventati strumenti di lavoro e per acquisire o condividere conoscenza e informazione. Il dopo emergenza ci fa capire, come ha sostenuto Livio Gigliuto, direttore Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale e vice presidente Istituto Piepoli, come “il digitale è il protagonista di questa rivoluzione: sono proprio i meno giovani, i più “fragili” digitalmente, a volere adesso i certificati su WhatsApp, i sindaci in diretta Facebook.

9 italiani su 10 vogliono sopperire al futuro di distanziamento sociale con la rivoluzione digitale, che probabilmente sarà il primo vero cambiamento nelle nostre vite alla fine, speriamo presto, di questa fase di emergenza”. Vero, sarebbe indispensabile che i giganti del web cooperassero con i produttori di informazioni per rendere l’ecosistema digitale sempre più sicuro e trasparente, ma l’uso delle nuove tecnologie ha creato degli effetti che per quanto possano essere positivi hanno, e nascondono, qualcosa di incontrovertibile.

Tra le “ricette” per combattere la mala informazione, l’attivazione di campagne di sensibilizzazione e di prevenzione sull’uso consapevole dei social, che vengono segnalate come prioritarie dal 34,7% dalla popolazione, soprattutto dai più giovani (41,6% tra i 18-34enni) e dai più scolarizzati (39,9% tra i laureati). Potrebbero bastare per combattere le false notizie?

Credo che l’opera di sensibilizzazione non debba mai arrestarsi. Dietro l’industria delle fake news si muovono grandi interessi. Non credo ai complottismi e odio tutti gli ismi (egoismi, individualismi, cattivismi…) ma non possiamo star fermi. È un nemico terribile quello della disinformazione e va spesa ogni energia. Bisogna continuare a parlarne e bisogna creare le scuole per i genitori, affinché educhino i figli all’uso consapevole delle nuove tecnologie. Possiamo farcela se facciamo vincere il buon senso, la solidarietà e il senso di responsabilità.

Mario Catalano