Si chiamano autoanticorpi e neutralizzano delle molecole (gli interferoni) che hanno un ruolo essenziale nella corretta risposta immunitaria a Covid. Le persone che li hanno, o che hanno difetti genetici che condizionano l’espressione di questi alleati della nostra difesa, tendono ad ammalarsi di forme particolarmente gravi della malattia da coronavirus Sars-CoV-2.
A gettare luce su questo meccanismo sono due lavori apparsi oggi su ‘Science Immunology’ che potranno avere importanti ricadute anche nella gestione clinica della malattia. Lavori che riportano i risultati dello studio di un consorzio internazionale di ricercatori, in cui figura anche un importante contributo italiano.
A dare linfa alla ricerca degli scienziati guidati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), dalla Rockefeller University (New York) e dall’Università di Parigi, è stato anche il super archivio ‘Storm’ dei pazienti Covid, coordinato dall’università di Milano-Bicocca in sinergia con l’Asst di Monza. Quello che è emerso è che la prevalenza degli interferoni di tipo I aumenta oltre i 60 anni d’età e questi sono alla base di circa il 20% di tutti i casi fatali di Covid-19. Ma c’è un dato ritenuto cruciale dagli esperti: la ricerca mostra che la presenza di autoanticorpi precede l’insorgenza di Covid-19. Questo permetterebbe di giocare d’anticipo, con vaccini e trattamenti precoci basati sull’uso di anticorpi monoclonali.
“Questi risultati – sottolineano Paolo Bonfanti, professore di Malattie infettive di Milano-Bicocca, e Andrea Biondi, professore di Pediatria dello stesso ateneo – potrebbero avere implicazioni terapeutiche molto importanti: anzitutto la ricerca degli anticorpi anti-interferone potrebbe divenire un test di screening vista la discreta frequenza di questi autoanticorpi nella popolazione generale con il progredire dell’età”.
“In secondo luogo, i pazienti con autoanticorpi contro l’interferone di tipo I – proseguono Bonfanti e Biondi – dovrebbero essere vaccinati contro Covid prioritariamente. E infine, in caso di infezione da Sars-CoV-2, le persone non ancora vaccinate in cui fosse rilevata la presenza di questi autoanticorpi, dovrebbero essere ricoverate in ospedale per una corretta gestione clinica. Il trattamento precoce con anticorpi monoclonali potrebbe essere somministrato in questi pazienti prima che compaiono sintomi di polmonite da Covid”.
Il progetto Storm (studio osservazionale sulla storia naturale dei pazienti ospedalizzati per Sars-Cov-2) che ha contribuito ai due lavori pubblicati è un archivio elettronico di dati clinici, diagnostici e terapeutici relativi ai pazienti Covid ricoverati all’ospedale San Gerardo di Monza. E’ coordinato da Bonfanti e implementato dall’ufficio Bicocca Clinical Research Office (BiCRO). Per la ricerca pubblicata su ‘Science Immunology’, in particolare, è stato fondamentale l’apporto della raccolta del materiale biologico residuo derivante da tamponi e prelievi dei pazienti, coordinata su iniziativa di Biondi.
Questi studi, spiegano Bonfanti e Biondi, “sono la prosecuzione di un progetto di ricerca internazionale iniziato fin dai primi mesi della pandemia, volto a studiare le cause alla base dell’estrema multiformità della malattia, che può manifestarsi con uno spettro che varia dall’infezione asintomatica alla morte rapida. Da tempo le ricerche si sono concentrate sulle cause genetiche di tali diversità ed in particolare sul ruolo di alcune proteine prodotte dalle cellule del sistema immunitario, come gli interferoni, che condizionano la risposta favorevole a Covid-19”.