Sanità

Covid, in Italia allarme variante Delta, quali sono i sintomi



La variante Delta “fa paura”. I contagi da coronavirus calano in Italia, ma la variante indiana del covid (identificata come Delta) obbliga a mantenere la guardia sempre altissima. Le news legate ad uno studio di Lancet contribuiscono a definire ulteriormente il quadro: il rischio di ricovero in ospedale per la variante Delta è quasi doppio rispetto a quello della variante Alfa (inglese), ma due dosi di vaccino forniscono comunque una forte protezione contro il mutante, sebbene inferiore rispetto a quella contro la variante inglese.
VARIANTE DELTA E VACCINO
Secondo i dati analizzati dai ricercatori, la variante indiana è la forma predominante di coronavirus pandemico circolante nel Regno Unito e si ritiene che sia del 60% più contagiosa di quella inglese.
In particolare, il vaccino Pfizer-BioNTech fornisce contro questa variante una protezione del 79%, rispetto al 92% di protezione con la variante inglese. Per il vaccino Oxford-AstraZeneca, invece, è stata rilevata una protezione del 60% contro le infezioni dovute alla variante indiana, rispetto al 73% della variante inglese.
La variante Delta “preoccupa” proprio proprio la capacità della variante di ‘bucare’ in parte il vaccino, evidenzia il professor Fabrizio Pregliasco. In Italia già circola. “Il dato finora è basso, ma probabilmente è sottovalutata”, avverte Pregliasco: “Adesso dovremmo farci più attenzione”. Il rischio, “come ho detto fin dall’inizio – ricorda – è che in autunno ci sia un rialzo dei contagi, un colpo di coda del virus”.
Sulla variante Delta “c’è un po’ più di un poco di paura. Credo che le autorità inglesi abbiano informato le autorità europee. E credo che questa variante sia stata, se non protagonista, almeno un importante argomento di discussione al G7. Purtroppo qualche vittima in più l’ha fatta. Tanto è vero che gli inglesi stanno riverificando alcune politiche di apertura”, dice Massimo Galli, direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano.
“Noi – aggiunge Galli – dobbiamo sempre ricordare che la bestiaccia gira e che non possiamo sfuggire dai rischi di questa variante. E’ un’osservazione antipatica, ma qualcuno la deve pur fare”.
Il professor Roberto Burioni, agganciandosi allo studio di Lancet, evidenzia l'”efficacia du due dosi vaccini nella protezione da infezione da variante Delta (indiana): Pfizer 79%, AstraZeneca 60%. Questa variante sembra più contagiosa e in grado di causare malattia più grave”.
“La situazione inglese ci deve preoccupare perché dobbiamo sorvegliare e far si che non esistano dei cluster da variante indiana, serve un’attenta sorveglianza che con i numeri attuali italiani (1.000-1.500 positivi) possiamo sequenziare tutti i nuovi contagi e verificare se c’è la variante”, evidenzia Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova.
“In Italia abbiamo scelto una strategia vaccinale leggermente diversa dal Regno Unito, dove hanno accorciato il periodo tra prima e seconda dose. Quello che sta succedendo nel Regno Unito, con l’aumento dei casi collegato alla variante indiana, è legato da una parte al fatto che la gran parte della popolazione è vaccinata con una sola dose e poi che alcuni hanno posticipato di molto la seconda dose. Questa variante è però ricordiamola coperta dai vaccini che stiamo utilizzando”, ha aggiunto.
VARIANTE INDIANA, LA ‘SCHEDA’
Scoperta per la prima volta ad ottobre nel Maharashtra, stato dell’India Centro-occidentale, conosciuto per la capitale Mumbai, la variante è identificata come B.1.617. La sua caratteristica principale è che presenta due mutazioni già note (E484Q e L452R), unione che sarebbe responsabile della drammatica ondata che sta stravolgendo l’India. La mutazione identificata come L452R corrisponde ad una modifica individuata anche nella variante californiana (B.1.427) che interessa la proteina spike e potrebbe aumentare la contagiosità del coronavirus. La mutazione E484Q potrebbe invece incidere sulla capacità di ‘dribblare’ la risposta immunitaria: quindi, potrebbe portare il coronavirus ad essere più resistente agli anticorpi sviluppati dopo un’infezione o di aggirare, almeno parzialmente, l’efficacia del vaccino.
SINTOMI
A livello di sintomi la variante indiana pare essere più impattante sull’organismo. Tosse, raffreddore, mal di testa e mal di gola, febbre, dolori muscolari, diarrea, stanchezza e spossatezza, ovvero i primi segnali della presenza del coronavirus nelle persone, sono di solito più forti. E di conseguenza anche i tempi di guarigione ne risentono.