L’irruzione del Covid- 19 nella nostra quotidianità, da un anno a questa parte, ha causato crisi e sconvolgimenti a cui l’umanità non assisteva da decenni, determinando conseguenze nefaste non solo circa l’aspetto sanitario, ma anche dal punto di vista economico e sociale.
Il mondo dello sport, specie quello dilettantistico, ha sofferto particolarmente questi dodici mesi. Una vera e propria tempesta, che ha investito una vittima già prostrata e in ginocchio. Non si può negare, d’altra parte, che nel Belpaese lo sport sia, di fatto, abbandonato a sé stesso da tempo ormai immemore. Salvo qualche rara eccezione, infatti, le istituzioni mostrano spesso un atteggiamento di indifferenza nei confronti di quegli sport e di quelle categorie che non godono della luce dei riflettori, che sono considerati “minori”.
Il mondo dello sport non ha avuto un sostegno concreto per uscire indenne dai flutti della tempesta Covid. Un discorso che non ha, ovviamente, colore politico e che può essere esteso ad ogni latitudine, coinvolgendo il governo nazionale, quelli regionali e i vari enti locali. Certo, esistono anche delle eccezioni positive, ma manca una strategia comune, una visione d’insieme a carattere nazionale. Prova ne è il fatto che, negli ultimi anni, lo sport sia stato bistrattato a livello governativo. Raramente ha avuto un peso ed un adeguato riconoscimento nell’attività degli esecutivi.
Il governo Draghi, a quasi un mese dal suo insediamento e a dispetto della nomina di ministri e sottosegretari in gran numero, non ha ancora assegnato la delega allo sport. Anche gli indennizzi a favore di lavoratori e professionisti dello sport, inseriti nei vari decreti, non hanno certo fornito un supporto adeguato.
Una tempesta perfetta, vista anche la contemporanea chiusura di palestre, piscine e centri sportivi. Una scelta chiaramente in linea con le restrizioni in corso, che ha però suscitato numerose polemiche, viste anche le mille contraddizioni nel rapporto tra “consentito” e “vietato” nell’era Covid.
L’inevitabile conseguenza è quella di una fase di stallo che colpisce numerosi sport, soprattutto nelle categorie dilettantistiche e nei campionati minori. È notizia di pochi giorni fa, ad esempio, la decisione della FIR (Federazione Italiana Rugby), di sospendere tutti i campionati nazionali e regionali ad eccezione della Top Ten (massima serie).
Guardando al calcio, poi, vige la più totale incertezza per squadre e atleti che militano dalla D in giù, sebbene il presidente della FIGC Gabriele Gravina abbia recentemente annunciato la prevista ripartenza dell’Eccellenza. Al di là delle singole decisioni che potrebbero arrivare prossimamente, ci sono tanti, troppi fronti ancora aperti. E ci sono soprattutto, troppi aspetti ignorati o dimenticati.
Per approfondire meglio questioni tanto complesse il “Quotidiano di Sicilia” ha voluto sentire Giusi Malato, storica pallanuotista catanese, bandiera dell’Orizzonte e straordinaria protagonista dell’oro olimpico conquistato dal setterosa ad Atene 2004, che è adesso una lavoratrice dello sport, costretta ad affrontare infinite difficoltà.
Negli scorsi mesi, era l’aprile del 2020, ebbe grande risalto il suo appello, fatto in nome di tanti operatori e professionisti del settore, al sindaco della città metropolitana di Catania Salvo Pogliese: “Da quel giorno ormai lontano non è cambiato nulla, anzi la situazione è peggiorata. Non ci sono entrate, ma le spese rimangono costanti e, addirittura, aumentano. Lo sport è stato dimenticato e bistrattato? Sì, è proprio così e l’assenza di un ministro dello Sport la dice lunga su quanto sia importante per questa nazione. Mi dispiace, soprattutto per i giovani, perché lo sport è momento di aggregazione e socializzazione… Questa generazione sarà la più frustrata e sociopatica dei prossimi anni, perché mancano la scuola e la socialità, perché non è permesso loro di uscire, abbracciarsi, fare sport.
Quando parlo di sport non mi riferisco soltanto all’attività agonistica, perché per molte persone, soprattutto anziane, che hanno bisogno di fare pilates o andare in piscina per curare la schiena, lo sport non è un passatempo, ma è terapia, è salute. Bisogna assolutamente parlare anche di questo aspetto, perché lo sport è inclusione, è benessere fisico, cura del corpo e della mente. Gli antichi dicevano mens sana in corpore sano, ce lo hanno insegnato loro. E io sono la prima ad avere, oltre alle difficoltà economiche, anche difficoltà dal punto di vista psicologico. Sono sempre stata abituata a lavorare tutto il giorno, a stare a contatto con la gente, a condividere la mia vita e le mie esperienze… Quindi stare a casa senza fare nulla mi pesa”.
Inevitabile, poi, affrontare il tema della chiusura di palestre e centri sportivi, tema su cui Giusi Malato ha le idee chiare: “Vorrei capire qual è la differenza tra il settore agonistico ed una persona a cui è impedito di fare un’ora di piscina come fisioterapia, nonostante il fatto che adotterebbe i medesimi accorgimenti e che non userebbe lo spogliatoio. Contingentando, come abbiamo fatto nei mesi scorsi, l’ingresso agli spogliatoi, l’attività si può fare regolarmente per tutti. Sono convinta che esista, per ogni cittadino, il diritto allo sport, per una questione di benessere fisico e di socialità”.
Le conseguenze, ricadono, inevitabilmente su un intero settore, ormai davvero allo stremo: “Un altro aspetto critico, oltre quello sociale, riguarda i lavoratori, che sono stati dimenticati. Oltre ai ristoratori, che in qualche modo sono riusciti ad arrangiarsi, gli operatori dello sport e del turismo sono stati i più bistrattati… Hanno decretato la nostra morte. I ristori? Sono arrivati i cosiddetti indennizzi da 600 e 800 euro, ma come può ci può vivere una famiglia? Tra l’altro, oltre a questo, non c’è stato nulla. Ci hanno totalmente abbandonato, ed è inconcepibile che sia successo tutto ciò.
Ci sentiamo presi in giro, da un anno dicono che bisogna chiudere per salvaguardare l’estate, il Natale, la Pasqua ma dopo dodici mesi siamo al punto di partenza. Il nostro calvario è iniziato l’8 marzo 2020 e continua ancora, perché al momento non riesco a vedere spiragli. Forse, adesso, ci stanno riconoscendo come categoria di lavoratori, ma non abbiamo una pensione e siamo soggetti a lavoro stagionale, se non lavoriamo non guadagniamo nulla. Una famiglia come la mia in che modo dovrebbe andare avanti? Per necessità mi sto reinventando, sto facendo cose totalmente estranee a quello che è sempre stato il mio ambito lavorativo. Ho due figli che più crescono più esigenze hanno. Si è arrivati al punto di dover scegliere tra cosa è più importante, quale spesa è indispensabile e quale no”.
Infine una riflessione sul futuro, su quale strada si dovrebbe seguire per sviluppare e far crescere lo sport nel nostro paese: “Come investire in questo settore? Seguendo il modello americano, con lo sport a scuola e nelle università. Un modello educativo dove, lo studente o la studentessa atleta non venga discriminato. Ricordo che, quando andavo a scuola, venivo automaticamente considerata un asino solo perché facevo sport ad alti livelli. Negli Usa non è così, anzi chi fa sport è tenuto maggiormente in considerazione, perché ha più impegni. Io intendo lo sport in questo modo, come dicevo prima lo sport è inclusione”.
Vittorio Sangiorgi