Sanità

Covid e malattie del sangue: pazienti ematologici due volte più fragili

Pazienti ematologici e Covid 19: un connubio di rilevanza medica, alla luce di quanto indicato da uno studio promosso dalla SIE, Società Italiana di Ematologia, e pubblicato a ottobre 2020 su The Lancet Haematology, secondo il quale i pazienti ematologici sarebbero due volte più fragili del resto della popolazione di fronte all’infezione da Covid-19. Quali siano i sintomi identificativi dell’infezione in questi casi e quali le conseguenze mediche, nonché quali le terapie efficaci e quale il ruolo svolto dai vaccini lo abbiamo chiesto al Dottor Giuseppe Falliti, Direttore U. O. C. Patologia clinica dell’A. O. Papardo Messina, anche in relazione alla prevenzione primaria del Covid-19.

Professore Falliti, quale percentuale di pazienti ematologici contrae il Covid 19? Quali sono i fattori di rischio? 

“In Italia sono 33 mila ogni anno le persone che ricevono una diagnosi di tumore del sangue. Oggi, questi pazienti sono ancora più a rischio, non solo perché devono combattere la malattia, ma per la loro maggiore fragilità documentata dallo studio promosso dalla SIE, Società Italiana di Ematologia, che osserva, su 536 pazienti con un tumore del sangue e positivi al Coronavirus, un tasso di mortalità pari al 37%. Un tasso che risulta 2,4 volte superiore rispetto a quello della popolazione generale e 41,3 volte maggiore rispetto a quello osservato nei pazienti onco-ematologici prima della pandemia. Le ragioni del contagio sono da individuare nelle cure che seguono i malati: la chemioterapia, l’immunoterapia, il trapianto di midollo che, se da una parte salvano la vita ai pazienti, con tassi di guarigione generale che sfiorano il 70%, dall’altra inducono uno stato di immuno-depressione che rende molto più vulnerabili alle infezioni, compresa quella da COVID-19”.

Quali i sintomi dell’infezione virale e cosa accade al sangue dopo la contrazione? 

“Il Covid 19 clinicamente è suddiviso, sulla base dei cosiddetti indicatori clinici, in lieve normale, grave e critico, seguendo le osservazioni di Guo e collaboratori del 2020. Nella forma lieve i sintomi clinici sono stanchezza e lieve febbre, nelle forme gravi si assiste a ipossiemia, coagulopatie, danni d’organo o astenia. Tra gli indicatori di patologia del sangue si rilevano, tra gli altri, una riduzione dell’albumina (75.8%) e una riduzione dei linfociti (43.1%). Da segnalare, nei pazienti con quadro clinico severo, un significativo aumento dei neutrofili, mentre i linfociti continuano a decrescere. Infine, da segnalare, un aumento di fattori infiammatori, tra cui le interleuchine IL-6 e IL 10 e il fattore di necrosi tumorale (TNF-a), indicativi dello stato immunitario dei pazienti”.

Sul versante delle terapie, quali quelle utili e quale la sicurezza dei vaccini per i pazienti ematologici? E quali le strategie preventive ottimali per non contrarre il Virus in questi pazienti specifici?

“La terapia è personalizzata per ogni paziente ematologico che contragga il Covid in base alle condizioni e alle aspettative di vita. Tutti i pazienti con AML (Leucemia Mieloide acuta), ALL (Leucemia Linfatica Acuta), e MDS (Mielodisplasia), dovrebbero interrompere i trattamenti ematologici attivi e ricevere la migliore terapia anti-Covid disponibile con il miglior trattamento di supporto. Il rischio di morte dovuto al Covid in questi pazienti è alto e ogni trattamento per la malattia ematologica aumenta ulteriormente il rischio, quindi andrebbe evitato fino alla guarigione del Covid. Riguardo alla vaccinazione per i pazienti ematologici essa è fortemente raccomandata sia dall’ISS che dalle società scientifiche che afferiscono alle patologie ematologiche. Non esiste quindi alcuna controindicazione per questi pazienti ed è anche fortemente raccomandata la vaccinazione dei familiari dei pazienti conviventi con il paziente ematologico. I vaccini a mRNA – Pfizer e Moderna – sono da considerarsi di prima scelta, laddove vi sia disponibilità, per i pazienti immunologicamente compromessi, invece ai pazienti che si sottopongo a trattamenti con farmaci che hanno azione specifica verso i linfociti B si raccomanda di rinviare la vaccinazione dopo sei mesi dalla sospensione della terapia per una maggiore efficacia vaccinale. Riguardo, infine, alle strategie preventive attuabili, le uniche disponibili sono le vaccinazioni e l’utilizzo dei dispostivi di protezione individuale”. Una lotta continua a un Virus tuttora letale, ancora di più opprimente su specifiche fragilità individuali, ma contrastabile attraverso terapie all’avanguardia e l’utilizzo sempre più massivo dei vaccini che restano, a più di due anni dalla pandemia, la primaria strategia non rinviabile di salute collettiva.