Sul totale dei pazienti ospedalizzati durante la prima ondata pandemica, 1 su 6 è deceduto durante il ricovero.
Il tasso di mortalità, generalmente più alto nei maschi che nelle femmine, ha subìto un aumento costante nei pazienti di età superiore ai 70 anni: dal 31,3% tra i pazienti dai 71 agli 80 anni, al 64,4% nei pazienti di età superiore ai 90 anni. Emerge da uno studio condotto dalla Società italiana di Medicina interna (Simi) su 3 mila pazienti in 41 grandi ospedali italiani durante la prima ondata della pandemia e fornisce i dati prognostici sull’evoluzione della malattia.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Internal and Emergency Medicine.
Secondo lo studio, all’esordio della malattia a casa, la febbre era il sintomo più frequente, ma non per il 30% dei pazienti con più di 80 anni e addirittura il 40% degli ultranovantenni.
Tra i diversi sintomi iniziali, la tosse produttiva, indicativa di coinvolgimento del tratto respiratorio inferiore e/o di superinfezione batterica, è risultata associata ad una prognosi infausta, così come, tra i fattori preesistenti, il numero di farmaci assunti a domicilio ed il numero di co-patologie: tra queste ultime, quelle con la più elevata capacità predittiva di exitus sono risultate l’insufficienza cardiaca cronica e la malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO).
I predittori di un esito infausto più rilevanti al momento del ricovero sono stati identificati ancora una volta nel numero delle comorbidità (la percentuale di pazienti che hanno ricevuto la supplementazione ordinaria di ossigeno è di fatto risultata aumentare con il numero di comorbidità, da circa il 60% nei pazienti non-multimorbidi a circa il 90-100% in quei pazienti che presentavano 6 o più comorbidità) e nell’entità della compromissione respiratoria, indicata dal rapporto pO2/FiO2, il metodo più rapido per misurare la mancanza di ossigeno e dare valutazione di insufficienza respiratoria.
Lo studio ha anche dimostrato che la normale supplementazione di ossigeno non ha dato benefici significativi nei pazienti con un deficit respiratorio più grave. In questi ultimi, tanto più precoce è stato invece l’uso della ventilazione meccanica non-invasiva quanto migliore è stata la prognosi finale.
“Questo studio, l’unico ad aver analizzato una così vasta casistica di pazienti Covid-19 ricoverati e gestiti interamente nei reparti di Medicina, ha il pregio di aver indicato i principali segnali di allarme da cogliere all’ingresso dei pazienti in ospedale per poter indirizzare oggi sia le decisioni cliniche che l’allocazione delle risorse, ed essere in grado di agire tempestivamente e prevenire l’evoluzione infausta della malattia”, ha spiegato Antonello Pietrangelo, presidente della Simi.
“I pazienti che continuano ad arrivare in ospedale e ad andare incontro ad un decorso ospedaliero più complicato e spesso infausto, infatti, sono gli stessi pazienti multi-patologici e in politerapia che abbiamo ricoverato nella prima ondata, quelli per cui, giustamente, il governo ha indicato una priorità nel piano di vaccinazione”, ha concluso.