Un gruppo di clinici e ricercatori di undici strutture ospedaliere italiane, con capofila la Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, ha condotto uno studio sui pazienti affetti da Covid-19, non critici, con lo scopo di verificare “la relazione tra l’apporto nutrizionale e l’outcome clinico, prendendo in considerazione anche fattori diversi, come, ad esempio, l’obesità e la presenza di altre comorbidità”.
Il lavoro, che rappresenta il primo e unico, al momento, studio multicentrico di questo genere nei pazienti Covid nella letteratura scientifica internazionale, è stato pubblicato sulla rivista “Clinical Nutrition” e ha permesso di arrivare alla conclusione che “un inadeguato apporto nutrizionale a ridosso del ricovero ospedaliero è associato a risultati clinici negativi”.
La ricerca è stata condotta tra aprile e luglio del 2020 e ha coinvolto 1.391 pazienti affetti da Covid-19 ricoverati negli undici ospedali. I ricercatori hanno osservato che i malati “in cui veniva riscontrata la riduzione dell’alimentazione, avevano un maggior rischio di dover essere trasferiti in terapia intensiva e di morire durante l’ospedalizzazione”.
I risultati hanno, inoltre, dimostrato che “nel caso di soggetti obesi sia stata fondamentale la presenza di altre comorbidità nel determinare il peggioramento delle condizioni cliniche e della prognosi. L’obesità non complicata è risultata, invece, in linea con diversi altri dati della letteratura, come un fattore protettivo, il che rende plausibile ipotizzare che proprio la presenza di comorbidità potrebbe essere il fattore chiave, che può determinare il ruolo protettivo o dannoso di un indice di massa corporea elevato, probabilmente non solo nel Covid-19”.
Di conseguenza “adottare una terapia nutrizionale ad hoc per i pazienti affetti da Covid-19, il più possibile in linea con le raccomandazioni delle società scientifiche internazionali, risulta essere un elemento di fondamentale importanza per la possibile riduzione della mortalità e il miglioramento dei risultati clinici”.
“Sono molto soddisfatto prima di tutto della collaborazione di rete che si è creata nei mesi durissimi della prima ondata – dichiara Riccardo Caccialanza, direttore dell’Unità di Nutrizione Clinica del San Matteo -. I risultati, che riteniamo molto interessanti, in linea con quelli che abbiamo recentemente pubblicato sui pazienti ricoverati in terapia intensiva, ribadiscono che il ‘fattore nutrizione’, in particolare il deficit calorico precoce, può condizionare l’andamento clinico non solo del Covid-19, ma anche della quasi totalità delle patologie acute e croniche, come ad esempio quelle oncologiche”.