Unioncamere Sicilia certifica per le imprese della nostra Isola un saldo positivo: +3636 nel 2020. Non fatevi ingannare dal segno positivo, ha spiegato il Presidente Pino Pace, “l’anno appena trascorso è stato durissimo, ne dobbiamo ancora registrare le conseguenze”. In attesa che i numeri ci dicano quanto duro sia stato il colpo inferto all’economia dall’emergenza pandemica, la crisi morde, interi settori produttivi sono in agonia e a soffrire è soprattutto la microeconomia, i cosiddetti “piccoli”: commercianti, professionisti, ristoratori, titolari di palestre, artigiani, albergatori. Tutti in crisi nera, tutti dimenticati dal governo che non è riuscito a guardare oltre elemosine e ristori.
In questa pagina abbiamo voluto dare voce a chi si sente ancora oggi dimenticato.
Il nostro viaggio parte da Trapani. Tania Sanacore, proprietaria di un negozio di abbigliamento a Trapani ha deciso di chiudere: “Sono emotivamente scossa. Lo Stato Italiano è stato assente, non ci è stato vicino e non ha erogato gli indennizzi adeguati che avrebbero permesso, a noi piccole partite iva, di superare un momento così difficile”.
Quando è arrivata la decisione di chiudere?
“Con il tanto atteso 2021, lo scorso 11 gennaio ho deciso di abbassare definitivamente la saracinesca. Nel corso del 2020, ho combattuto con tutte le mie forze, mi sono rimboccata le maniche e mi sono fatta carico di tutti i problemi, fin quando è sopraggiunto il momento di fare una scelta: ho deciso di mollare, di fermarmi, perché sono realista. Dopo un anno la situazione non è migliorata e gli aiuti economici continuano a non arrivare. Davvero si crede che un’attività possa risollevarsi con i bonus da 600/1000 euro una tantum? Qua dentro lascio il mio cuore ci sono i miei sacrifici, per non parlare delle ragazze che lavorano nel mio negozio, alle quali non posso più dare la sicurezza economica di uno stipendio. Se mai ci sarà modo, fra qualche mese proverò a gestire le vendite online, ma solo quando la situazione italiana si sarà risollevata”.(tp)
Anche nella capitale del turismo siciliano, nonostante i recenti investimenti di grandi gruppi internazionali nel settore ricettivo, come l’acquisizione dei lussuosi Hotel Timeo e Sant’Andrea da parte di Lvmh e la nuova apertura del Grand Hotel San Domenico col marchio Four Seasons, “c’è la grande preoccupazione che il tessuto economico possa essere investito da capitali illeciti”.
A confermarlo è Guido Spinello, uno dei più noti e giovani imprenditori di Taormina, proprietario della struttura ricettiva La Malandrina, ma anche socio del tour operator Sicily LifeStyle e gestore del Morgana, il famoso locale della dolce vita taorminese.
Quali perdite avete registrato a causa della pandemia nell’anno trascorso?
“La struttura alberghiera ha perso circa l’80%, difendendosi solo col turismo di prossimità. Nel locale notturno, dove le restrizioni imposte sono state maggiori le perdite hanno toccato l’84%. Ma è soprattutto nelle vesti di tour operator che abbiamo subito il tracollo, con un calo di circa il 92%, per l’impossibilità di organizzare eventi. Numeri che rimarcano le medie registrate dalle altre attività turistiche della Perla, storicamente legate al viaggiatore straniero (con l’85% di arrivi annui) bloccato dal lockdown mondiale”.
In che modo state affrontando il 2021 e su cosa bisogna puntare per la ripresa?
“La nostra ricetta è sempre stata quella di puntare sulla qualità dell’offerta ma sembra che anche quest’anno dovremo fare i conti con l’impossibilità di fare programmazione”.
Un appello alla politica.
“Devono realmente aiutarci. Gli aiuti fin ora sono stati miseri e le attività non potranno reggere a lungo. Il Recovery Fund è una grande opportunità speriamo venga usato a dovere”. (mm)
Tra tutte le categorie messe in ginocchio dalla pandemia, quella dei ristoratori è senz’altro quella che ha pagato e continua a pagare il prezzo più alto. Dopo la chiusura durante il primo lockdown e una piccola ripresa nel periodo estivo, in questi mesi la situazione è decisamente precipitata con le innumerevoli restrizioni di cui abbiamo parlato in queste settimane. Il coprifuoco delle 22, l’impossibilità di ospitare i clienti in sala e l’istituzione nella nostra Regione della ‘zona rossa’ hanno fatto il resto, assestando un colpo fatale al settore della ristorazione. “Le restrizioni causate dall’emergenza Covid 19 – ha riferito al Qds il titolare di Acqua e Farina, pizzeria di Modica, Davide Roccasalva – continuano a non essere favorevoli per il nostro settore. Ho rilevato la pizzeria nel dicembre del 2019 ma purtroppo dopo nemmeno tre mesi siamo stati costretti a chiudere la sala. Questa pandemia è stata una scossa per tutti, imprevedibile. È stato un anno molto difficile, tra alti e bassi cerchiamo di sopravvivere e lottare, grazie soprattutto al servizio a domicilio e all’asporto cerchiamo di andare avanti”. Nonostante le promesse di aiuti soddisfacenti, i ristori non appaiono sicuramente adeguati e i ristoratori sono esasperati visto che questa situazione si protrae ormai da troppi mesi.
“Abbiamo ricevuto qualche ristoro ma – ha aggiunto il titolare del locale – non si riescono a coprire tutte le spese. È impossibile! Non è giusto rimanere chiusi per così tanto tempo e vedere che nonostante questi sacrifici la situazione non riesce a migliorare. Basterebbe riaprire con le giuste precauzioni, con il ‘coprifuoco’ se si vuole, ma almeno dovrebbero darci la possibilità di lavorare perché la distanza di sicurezza fra un tavolo e un altro c’è e l’avevamo già ben calcolata”.(sz)
Irene Farina è titolare di una piccola azienda a gestione familiare che si chiama Loren’s pelletteria soc. coop. L’abbiamo intervistata.
Di quanto è calato il vostro fatturato dall’inizio della pandemia?
“Dall’anno scorso c’è stato un calo netto del 70% delle vendite, noi forniamo le grandi catene di negozi e partecipiamo alle fiere all’estero e da lì partono tutte le commissioni per le forniture. A marzo dello scorso si è fermato tutto. Il governo ci ha dato la possibilità di convertire la nostra azienda realizzando mascherine di protezione. Ci siamo quindi indebitati, con un prestito a tasso agevolato, per acquistare un macchinario apposito fissando il prezzo a 1 euro per mascherina, per fornire all’ingrosso aziende che avrebbero provveduto alla distribuzione. In seguito il governo nazionale ha deciso di fissare il prezzo a 0,50 a mascherina, ma soprattutto ha dato l’appalto a aziende straniere (cinesi) e noi ci siamo ritrovati ad avere un macchinario divenuto inutile, che abbiamo rivenduto allo stesso proprietario alla metà del costo. Ma il debito ci è rimasto e viene il dubbio che lo stato preferisca far lavorare le aziende straniere che quelle italiane”.
Quale è la soluzione per aiutarvi?
“Finanziamenti a fondo perduto per risollevarsi. è il sistema che secondo me andrebbe modificato. In Australia ad esempio hanno deciso di affrontare la pandemia effettuando un lockdown totale per ben 7 mesi. Ma economicamente il governo li ha realmente aiutati fornendo tutti i mesi un aiuto concreto in denaro. Ed è stato così che l’economia non si è fermata ma si è abituata a vendere on line, invece che su strada. In Italia la cassa integrazione arriva in ritardo di mesi e nel frattempo devi ricorrere all’indebitamento. Per cercare di sopravvivere abbiamo anche aperto un punto vendita affrontando altre spese, ma il continuo apri e chiudi uccide l’economia. Il rischio di fallimento è dietro la porta ci vorrebbe anche un mini condono per chi in periodo di pandemia non ha potuto pagare le tasse”.
“In un’ottica internazionale – prosegue Aicò – l’Italia si è già scoperta a rischio partecipazione alle Olimpiadi, con un conseguente gravissimo rischio economico, per gli sponsor, d’immagine e di tutto quello che, a cascata, ne consegue anche a livello giovanile. Tuttavia – conclude il presidente Cism – ritengo il Governo si sta impegnando all’interno di un panorama politico diventato ancora più difficile da gestire questa settimana”. (cb)
di Pietro Vultaggio, Massimo Mobilia, Stefania Zaccaria, Chiara Borzì e Raffaella Pessina