Cronaca

Covid, sulla Catania-Caltagirone è zona a “luci rosse”

Il pericolo contagio da pandemia non frena la “tratta” e lo sfruttamento delle schiave di colore che giornalmente si prostituiscono sulla parte iniziale della statale Catania-Caltagirone. Una striscia di strada lunga pochi chilometri, della SS 385, che collega il capoluogo etneo con alcuni dei principali centri del Calatino, dove donne-schiave africane sono messe in strada fra cumuli di rifiuti dall’“industria” della prostituzione.

Il vento freddo di questi giorni, il fetore dell’immondizia, i cani randagi che scorazzano, ma soprattutto la “bomba sanitaria” del contagio da Covid-19 senza alcuna forma di precauzione, non hanno fatto, per i mesi del lockdown, da alcun deterrente per i clienti di passaggio che con i propri mezzi non resistono al “canto delle sirene” ed agli approcci a bordo-strada.

Le “quote rosa”, in questo comparto “lavorativo”, sono più che rispettate. Nemmeno le nuove varianti della pandemia bloccano la merce umana femminile di colore messa in vetrina sulla prima tratta della SS 385.
Sempre lì, corpi giovani femminili creano micro-assembramenti ai bordi della statale, fra colleghe e clienti occasionali a bordo di camion, utilitarie o auto di lusso. Lavoratrici di colore, di provenienza perlopiù africana, che non hanno bisogno di autocertificazione per recarsi in strada per “lavorare”: alle porte della Piana saranno almeno una decina.

Tutto in spregio a qualunque norma prevista dal Codice penale – l’art. 534 condanna lo sfruttamento della prostituzione – e, da mesi e mesi, in aperta inosservanza del distanziamento sociale imposto dalle infinite misure anti-pandemia. Toccherebbe a loro la lista d’attesa prioritaria per effettuare tamponi, protocolli sanitari, o meglio ancora vaccinazioni anti-Covid.
Così come i loro occasionali clienti, privi ovviamente di alcun tracciamento sanitario. Però sono semplici “operatrici”, o meglio semplici mercenarie del sesso, senza volto, né diritti.

Nel frattempo, nessun blitz delle Forze dell’ordine, nessun intervento di controllo, monitoraggio o tracciamento da parte delle cariche istituzionali locali provinciali e statali, degli enti locali competenti, dei sanitari dell’Asp, del contributo del volontariato sociale.
Le donne-schiave, in tutto questo, si ritrovano prive del diritto alla salute, esibite come fenomeni da baraccone: segno e specchio dei tempi tristi che stiamo vivendo.

Una strada-discarica la SS 385, divenuta da tempo “zona franca”.
Non è ne’ zona rossa Covid, ne’ arancione: è la zona “a luci rosse” a cielo aperto, dove le prostitute sono “in presenza” e online con gli un occhio ai passanti e l’altro al cellulare, sedute o poggiate su sedie bianche da giardino.

In mezzo alla boscaglia, dentro un mezzo di trasporto, dietro piante di ficodindia, si fa in fretta a consumare un rapporto “mordi e fuggi” e a guadagnare alcuni pezzi da 10 euro. Inutile quanto retorico interrogarsi sulle protezioni dei rapporti sessuali. Dunque, le povere schiave possono rappresentare potenziali “bombe” sanitarie su strada, potendo essere a loro volta portatrici asintomatiche del virus.

Fabio Rao