PALERMO – Stavolta non abbiamo trovato le parole per indorare la pillola, quindi usiamo quelle del presidente della Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti siciliana, Salvatore Pilato, pronunciate nel corso della sua relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 della Magistratura contabile isolana: “Nella dimensione nazionale, gli Enti locali siciliani costituiscono oltre il 25% dei casi di dissesto e circa il 20% dei casi di riequilibrio”. Ciò vuol dire che un quarto dei Comuni italiani in dissesto e un quinto di quelli che hanno avviato procedure di riequilibri pluriennale si trovano nella nostra regione.
Dei 202 casi di dissesto registrati nella Penisola al 31 dicembre 2022, infatti, quelli siciliani, aggiornati invece al 2023, sono 68 (17 dei quali lo hanno dichiarato nel corso dello scorso anno). Oltre il 25%, appunto. Sono 49, invece, i Comuni siciliani in Piano di riequilibrio finanziario pluriennale: una fetta che sui 254 casi di riequilibrio pluriennale attivi in Italia corrisponde quasi al 20%.
A tal proposito, Pilato ha osservato che “è frequente la transizione dalla procedura di riequilibrio alla procedura di dissesto per la sopravvenuta insostenibilità finanziaria del percorso di ripiano dei disavanzi pregressi, il quale è comunque assoggettato a costanti verifiche periodiche. Emergono talvolta situazioni cosiddette di ‘doppio dissesto’”.
Le cause delle criticità finanziarie che coinvolgono almeno un terzo dei nostri Enti locali sono ascrivibili alle “diffuse difficoltà di natura strutturale, riferite tanto ai Comuni di grandi dimensioni che ai Comuni di media-piccola dimensione, di procedere alla efficiente riscossione delle Entrate tributarie e patrimoniali, in misura idonea e sufficiente ad assicurare l’equilibrio finanziario. Le medesime difficoltà strutturali si estendono alla capacità amministrativa nell’attuazione della spesa d’investimento in situazioni di trasparenza nell’affidamento contrattuale, le quali dovrebbero anche realizzare il margine di spesa corrente, idoneo e sufficiente ad assorbire i costi ordinari di natura aggiuntiva, gravanti sull’equilibrio di bilancio”.
Proprio nell’equilibrio – o meglio riequilibrio – dei conti sta il nocciolo della questione, la priorità su cui non si può più procrastinare se si vuole garantire un futuro dignitoso alle nuove generazioni. Lo ha ricordato il presidente Guido Carlino, nel suo discorso all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti: “Occorrono misure che, nel dare una risposta alle necessità di famiglie e imprese, assicurino un’ordinata e progressiva riconduzione delle dinamiche delle entrate e delle spese entro una cornice compatibile con la sostenibilità dell’elevato debito; sostenibilità che è presupposto di uno sviluppo economico più consistente e durevole, oltre che equo, inclusivo e attento alle future generazioni”.
E lo ha ribadito anche il procuratore generale della Corte dei Conti, Pio Silvestri, che non ha mancato di segnalare nel suo intervento come l’attuale complessità del panorama geopolitico stia già provocando “allarmanti riflessi sui commerci internazionali, aggravando le prospettive economiche dell’Italia e mettendo in crisi i profili della stabilità finanziaria nazionale ed internazionale. Per tale motivo, è più che mai necessario che nel nostro Paese, gravato da un consistente debito pubblico, si mantenga il focus sul tema della corretta ed equilibrata gestione delle risorse pubbliche, che garantisca primariamente, nel quadro di una finanza stabile e solida, la tutela dei diritti sociali sanciti dalla Costituzione”.
Tornando al nostro “orticello”, Pilato ha sottolineato che “la lettura unitaria, integrata e combinata degli esiti conseguiti con i controlli finanziari evidenzia che l’avviamento del percorso virtuoso per il risanamento dei conti e il riequilibrio del bilancio con il ripiano delle passività pregresse costituisce la prima tappa per l’innesto del più complesso percorso di sviluppo e di crescita socioeconomica, nel quale l’incremento della quantità e qualità della spesa d’investimento produce l’effetto strategico moltiplicatore delle utilità a vantaggio delle Comunità territoriali, a condizione che sussista la congrua e proporzionata capacità amministrativa nel sano e corretto impiego delle risorse disponibili”.
Considerata però nelle dinamiche complessive, “la situazione finanziaria degli Enti territoriali in Sicilia è connotata dalla sussistenza di elevati disavanzi dovuti, prevalentemente, alle passività dei debiti fuori bilancio, agli accantonamenti per le anticipazioni ricevute in passato dallo Stato e alla presenza di elevati crediti di dubbia e difficile esazione, che gravano su un sistema di riscossione contraddistinto da livelli di efficienza molto modesti”.
Dietro a quelli che, all’apparenza, possono sembrare solo numeri si cela un dato di fatto che il presidente Pilato non ha mancato di sottolineare: “Un terzo della popolazione regionale risiede in Comuni in dissesto o che hanno adottato piani di riequilibrio finanziario e tale dato statistico continua a manifestare indici di peggioramento”. Un terzo degli oltre 4,8 milioni di siciliani vuol dire – abitante più, abitante meno – 1,6 milioni.
Quello che emerge dalla relazione di Pilato è un quadro desolante che “restituito dal richiamo delle questioni emergenti e dei numerosi punti di criticità riscontrati sulle gestioni assoggettate ai controlli programmati dalla Sezione di controllo per la Regione siciliana nell’anno 2023, evidenzia la sussistenza di eterogenei e complessi fenomeni d’inefficienza e disfunzionalità amministrativa”.