Una decisione “ferma” e sulla quale non tornerà indietro. Chi meglio conosce Mario Draghi descrive la sua posizione come “inamovibile”. Sulle dimissioni non avrà ripensamenti, il presidente del Consiglio andrà dritto.
A ben poco servirà il pressing dei partiti, a cominciare del Pd. Di certo non aiuterà lo spettacolo che va in scena in casa M5S, dove ci si interroga su un eventuale verifica di maggioranza e salgono le quotazioni del no a Draghi a prescindere. Ma al netto di tutto, per l’ex numero 1 della Bce non ci sono più le condizioni per andare avanti, perché è venuta a mancare quella ampia convergenza tra forze politiche così diverse tra loro ma chiamate ad intestarsi un governo di unità nazionale per fronteggiare l’emergenza Covid.
E se quell’emergenza non è ancora definitivamente alle spalle e ne sono arrivate tante altre a minare il Paese -vedi il conflitto in Ucraina, l’emergenza energetica, i rincari delle bollette, solo per citarne alcune- è venuto meno, per il presidente, quel patto di fiducia alla base dell’azione di governo. Un patto che, a suo dire, non è possibile rianimare. Così come non è pensabile un bis che regga su una maggioranza diversa di quella su cui ha impostato l’azione del suo governo, ad esempio tenendo fuori il M5S. Vale quanto detto in più occasioni: nessun Draghi 2, “questo è l’ultimo governo della Legislatura come premier”.
Oggi il presidente del Consiglio non è mai arrivato a Palazzo Chigi, ma è stato in visita alla camera ardente di Eugenio Scalfari, per poi far ritorno nella residenza umbra di Città della Pieve. Lunedì volerà ad Algeri, ma la missione si è ‘ristretta’ a una sola giornata: già in serata sarà a Roma, martedì a lavoro sul discorso da tenere alle Camere l’indomani.
Per un passaggio -quello della ‘parlamentarizzazione’ della crisi- deciso con il Capo dello Stato, i tempi dettati anche dalla missione ad Algeri, dove Draghi dovrà affrontare anche dossier fondamentali, a partire dal gas, per recidere il cordone dalla dipendenza energetica dal Cremlino. L’auspicio, sotto traccia, è che addirittura non si tenga una votazione, ovvero che Draghi affronti gli emicicli di Camera e Senato solo per rivendicare quanto fatto dal suo governo e, soprattutto, ringraziare gli italiani.
Le speranze di una ricomposizione sono ridotte al lumicino tra Camera e Senato, ma a Palazzo Chigi la luce si è spenta già ieri. Perché per Draghi il governo aveva senso di esistere, di andare avanti, se messo nelle condizioni di fare, “è questo sentire comune si è affievolito, complice la campagna elettorale”, la convinzione che si fa largo tra i suoi collaboratori.