La campagna vaccinale e l’emergenza sanitaria, il rapporto con le regioni e il sistema con il quale finora sono stati disposti divieti e restrizioni per milioni di italiani.
C’è un altro dossier sul tavolo di Mario Draghi, oltre al Recovery, che rappresenta per il presidente del Consiglio incaricato una priorità: la gestione della pandemia.
“La consapevolezza dell’emergenza richiede risposte all’altezza della situazione” ha detto lui stesso nel breve discorso al Quirinale, parlando di una “drammatica crisi sanitaria” e di un “momento difficile”.
Al primo punto c’è il nuovo piano vaccini.
Domenica o al più tardi lunedì cominceranno ad arrivare le prime dosi del siero di AstraZeneca e dunque bisognerà dar seguito al lavoro impostato per far partire la vaccinazione di massa che, da quanto annunciato nella riunione tra governo e regioni, prevede la somministrazione di 14 milioni di dosi entro aprile.
Le voci che girano nei ministeri interessati e tra i tecnici è che Draghi potrebbe dare un segnale di forte discontinuità rispetto alla gestione precedente.
In ambienti politici si fa però un diverso ragionamento: se Draghi dovesse puntare a un governo tecnico-politico, potrebbero anche essere confermati i ministri più esposti sul fronte della pandemia, Francesco Boccia e Roberto Speranza.
“La campagna di vaccinazioni – ha detto quest’ultimo nella riunione con i governatori – resti fuori da crisi e da contese politiche”.
Ci si chiede poi se sarà confermato il commissario Domenico Arcuri, il cui nome era in bilico anche in un ipotetico Conte Ter, o se invece si procederà con la scelta di qualcuno che abbia una maggiore esperienza nella gestione di situazioni emergenziali.
In molti, sia tra i politici sia tra i tecnici, ipotizzano un maggior coinvolgimento della Protezione Civile, fin qui rimasta ai margini.
Al momento interlocuzioni tra Draghi e il Dipartimento non ce ne sono state, ma se si vuole accelerare per la vaccinazione di massa, i volontari del sistema – ottocentomila persone, trecentomila attive – possono essere l’arma in più.
Al di là dei nomi, è però la linea che Draghi deciderà di seguire quella che conta.
E qualcosa, su questo fronte, l’ex presidente della Bce l’aveva detta in una recente intervista a Filippo Crea, Editor in chief dell’European Heart Journal: “dovremmo spendere molto di più per la salute”.
“La pandemia – aveva dichiarato – ha evidenziato infatti l’importanza di avere buone strutture di assistenza e un sistema robusto”.
L’altro fronte a cui Draghi potrebbe guardare è quello indicato nelle raccomandazioni della Commissione europea in cui si chiedono due cose all’Italia “rafforzare resilienza e capacità del sistema sanitario per quanto riguarda gli operatori sanitari, i prodotti medici essenziali e le infrastrutture; migliorare il coordinamento tra autorità nazionali e regionali”.
E il rapporto con le Regioni è un’altra delle questioni che Draghi si troverà sul tavolo. In questo anno di emergenza più volte si è arrivati allo scontro tra governo e territori, con tanto di ricorsi di questi ultimi al Tar.
Il dato certo, ragiona una qualificata fonte istituzionale, è che Draghi ha “il peso per mettere le persone con le spalle al muro”.
E può usufruire degli strumenti previsti dalla Costituzione, che il governo Conte bis non ha mai voluto utilizzare, quell’articolo 120 in cui si afferma che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni…nel caso di…pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
Infine, c’è la questione dei divieti e delle restrizioni.
Il grosso dei provvedimenti rimarrà in vigore fino al cinque marzo, ma già il quindici febbraio scadrà il divieto di spostamento tra le Regioni.
In base alla decisione che prenderà il nuovo governo si capirà se l’intenzione è di proseguire con i Dpcm e le misure o se si intende accantonare il sistema delle fasce, per intraprendere un’altra strada.