Istituzione e politiche pubbliche

La crisi e il futuro della specialità siciliana

di Dario Immordino
Componente del gruppo di lavoro sulla riforma della contabilità regionale istituito presso la Regione siciliana

In questa fase di grave difficoltà economico sociale l’allentamento del regime di austerità e dei vincoli di bilancio favorisce l’adozione di interventi a sostegno dei sistemi sociali e produttivi locali, e le regioni hanno assunto un ruolo sempre più centrale nel sistema economico e di welfare, adottando una vasta gamma di misure di prevenzione e attenuazione degli effetti negativi delle crisi aziendali, di sostegno all’occupazione esistente e di integrazione degli ammortizzatori sociali previsti a livello nazionale.

La titolarità di un’ampia potestà legislativa estesa a tutti i principali ambiti di governo del territorio e dell’economia regionale, di numerose competenze amministrative, di consistenti risorse e di un potere impositivo che consente alle leggi regionali di apportare modifiche alla normativa fiscale nazionale (ad esempio disciplinando autonomamente le agevolazioni tributarie) pone la Sicilia in grado di disciplinare e di gestire autonomamente ambiti fondamentali del sistema economico sociale territoriale, come l’industria e il commercio, l’agricoltura, l’urbanistica, i lavori pubblici, il turismo, la tutela del paesaggio consente, di calibrare il prelievo fiscale in funzione delle esigenze e specificità locali, di incassarne la maggior parte del gettito e reinvestirlo nel territorio regionale.

Tuttavia negli ultimi anni la consistenza effettiva della specialità siciliana si è progressivamente ridimensionata: la potestà legislativa si è notevolmente appiattita su quella nazionale e le norme regionali “originali” sono state spesso dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale; l’ordinamento finanziario autonomo previsto dallo Statuto speciale è diventato sempre più dipendente dal bilancio dello Stato, che ha progressivamente ridotto i trasferimenti e aumentato il prelievo di risorse regionali per il risanamento del sistema di finanza pubblica; le funzioni amministrative sono state gestite attraverso una struttura burocratica elefantiaca ed inefficiente che ha incrementato a dismisura i propri costi, e oggi impegna una quota consistente del bilancio regionale a fronte di un livello qualitativo e quantitativo di prestazioni e servizi non certo eccelso.

Il sistema finanziario siciliano, che sino a qualche anno fa veniva ritenuto una vera e propria forma di privilegio che garantiva risorse ampiamente eccedenti a quelle necessarie, si dimostra ormai inadeguato a sostenere il progressivo incremento dei costi di esercizio delle funzioni regionali, la valorizzazione del principio dell’unità dell’ordinamento giuridico e l’uso distorto dei poteri di autonomia hanno alterato la traiettoria d sviluppo della specialità siciliana, e la condizione di vantaggio che originariamente garantiva alla Regione sembra ultimamente pressoché annullata, e rischia addirittura di capovolgersi.

I conti pubblici territoriali, le relazioni della Corte dei conti, le analisi dello Svimez certificano il fallimento della specialità siciliana: il rapporto tra livello dei servizi pubblici e ammontare della pressione fiscale e la gran parte degli indici sulla dotazione infrastrutturale della Sicilia sono nettamente peggiorati rispetto allo scorso decennio, il sistema perequativo che avrebbe dovuto ridurre sino ad annullare il gap sociale, economico ed infrastrutturale della Regione si è dimostrato inefficiente, le politiche regionali scontano “tutti i limiti di un modello di sviluppo ancora fortemente sbilanciato sugli stimoli indotti dalla spesa pubblica piuttosto che verso la reale crescita della competitività del sistema economico regionale”, il bilancio regionale risulta pressoché interamente assorbito dai costi della macchina burocratica e dalla spesa sociale (soprattutto sanitaria), e negli ultimi anni l’aumento del contributo prelevato dallo Stato per il risanamento della finanza pubblica, la riduzione dei trasferimenti statali e i severi parametri di equilibrio finanziario hanno notevolmente accentuato le difficoltà finanziarie della Regione.

I recenti accordi con lo Stato consentono alla Sicilia recuperare le risorse minime indispensabili per garantire la gestione delle funzioni regionali, ma in una fase di prolungata stagnazione economica diventa essenziale recuperare le competenze legislative ed amministrative che consentono di strutturare efficaci politiche sociali e di sviluppo e di incrementare la qualità e quantità di servizi e prestazioni pubbliche, e garantirne il corretto esercizio.
Tuttavia, mentre le altre regioni hanno rivendicato, e in certi casi ottenuto, maggiori competenze e risorse per gestire autonomamente le politiche pubbliche finalizzate a fornire servizi e prestazioni essenziali e sostenere la capacità dei sistemi produttivi locali, in Sicilia la difesa della specialità regionale si è incentrata sulla rivendicazione di risorse, tralasciando tutti gli altri fondamentali profili dell’autonomia.

Da qualche anno a questa parte, infatti, pressoché tutte le regioni ordinarie hanno attivato il percorso di realizzazione del cd federalismo differenziato, e le altre regioni a statuto speciale hanno scelto di assumere a proprio carico funzioni precedentemente svolte dalle amministrazioni statali: dai servizi ferroviari di interesse locale alla gestione di incentivi, agevolazioni e servizi alle imprese, dalla sanità regionale alla gestione degli ammortizzatori sociali, al finanziamento di infrastrutture di competenza statale. Ed a fronte di tali impegni hanno ottenuto il riconoscimento di nuove entrate fiscali, notevoli agevolazioni in relazione alle somme da versare a titolo di contributo al risanamento della finanza pubblica nazionale ed il diritto a percepire consistenti quote del gettito dei tributi erariali prodotto nei rispettivi territori.

In Sicilia, invece, la prospettiva della specialità si è invertita: mentre in origine era lo Stato a cercare di limitare le competenze regionali, negli ultimi anni è stata la Regione a rifiutare non soltanto di acquisire nuove competenze amministrative, ma addirittura di esercitare alcune di quelle che lo Statuto le attribuisce, come quelle concernenti enti locali, sanità, istruzione ed università, che infatti continuano ad essere esercitate dallo Stato.

Questa visione angusta della specialità ha penalizzato, peraltro, il bilancio regionale, in quanto la giurisprudenza costituzionale ha in diverse occasioni rilevato che «in assenza di un procedimento di riequilibrio i tra le entrate tributarie e le funzioni effettivamente esercitate” la Sicilia non ha diritto all’attribuzione di nuove risorse, nemmeno se espressamente previste dallo Statuto.

Ciò significa che se la Sicilia decidesse di difendere e sviluppare la propria autonomia seguendo l’esempio delle altre regioni, peraltro, lo Stato sarebbe tenuto ad attribuirle entrate di importo sufficiente a finanziare interamente il costo dei servizi e delle prestazioni attraverso quote di gettito tributario, cioè risorse di proprietà regionale, che la legge statale non potrebbe arbitrariamente ridurre.

In questo modo la Sicilia otterrebbe le competenze e le risorse necessarie per gestire con proprie leggi e con la propria amministrazione settori fondamentali per lo sviluppo economico sociale territoriale, per finanziare un livello di servizi almeno pari a quelli offerti sul resto del territorio nazionale e contrastare il deficit strutturale ed infrastrutturale ed il gap derivante dall’insularità, ed inoltre i tributi versati dai siciliani resterebbero nel territorio regionale per garantire diritti fondamentali dei cittadini, aumentando il livello dei servizi o riducendo la pressione fiscale.