Il Ddl 105, noto come “riforma degli Enti locali”, pare aver piazzato le tende a Palazzo dei Normanni e gli addetti ai lavori ormai da tempo lo vedono aggirarsi tra commissioni e aula come uno spettro che non trova pace. Probabilmente destinato a un congelamento, il disegno di legge è tornato oggi, per l’ennesima volta – la terza, se non si vuol contare lo stralcio del testo da altro Ddl – in Commissione dopo un ulteriore timido tentativo di giungere a una discussione generale in Sala d’Ercole.
Già martedì era “previsto”, o semplicemente all’ordine del giorno dei lavori d’aula, l’avvio della discussione generale dopo che al precedente tentativo era stato rimandato in discussione di commissione per tentare di ridimensionare il numero di emendamenti giunti a 350. Il lavoro delle commissioni doveva ridurre l’esorbitante numero di emendamenti, per inammissibilità o per trovare un accordo su possibili doppioni. Il risultato è stato inverso: ieri in aula il testo è arrivato corredato da 400 emendamenti. La riduzione operata fuori aula ha quindi prodotto un sensibile aumento. Tutto da rifare, in qualche modo.
Il presidente della I commissione Affari istituzionali, il democristiano Ignazio Abbate, in aula ha tentato di difendere per quanto possibile il lavoro di concertazione tentato durante i lavori di preparazione del testo per la prova di Sala d’Ercole. Abbate ha ricordato che un punto di incontro si era anche trovato con le opposizioni su alcuni emendamenti. Ma la criticità del Ddl Enti locali risiede evidentemente nella maggioranza parlamentare e non tra i banchi dell’opposizione.
Nei fatti, analizzando il testo, la definizione di “riforma” risulta un po’ forzata. Il Ddl sembra più un “emendamenti omnibus” per Enti locali ad personam. Le difficoltà, rilevate e contestate infatti da esponenti dei gruppi di opposizione, consisterebbero proprio nelle agevolazioni che alcune voci del Ddl offrirebbero a specifici casi locali. Casi non condivisi da altre parti della stessa maggioranza. Un vantaggio per un Comune, uno svantaggio per un altro. Accordo difficile. Nell’insieme, il Ddl 105 Enti locali mancherebbe pertanto di una struttura solida di riforma che possa dettare nuove regole comuni per gli Enti locali e a medio-lungo termine.
Il capogruppo del Partito Democratico all’ARS Michele Catanzaro, ha sostenuto di trovarsi “di fronte al fallimento del Governo Schifani e della sua maggioranza ormai in piena confusione, un balletto mortificante che per l’ennesima volta fa tornare il Ddl sugli Enti locali in commissione”. Sulla stessa linea i colleghi dei gruppi di opposizione. Il capogruppo del Movimento 5 Stelle, Antonio De Luca, entra ancora più severamente nel merito affermando che: “Definire una riforma questa accozzaglia di norme, spesso contraddittorie tra di loro, è assolutamente fuori luogo. Dentro c’è finito di tutto e il contrario di tutto per accontentare i vari deputati e senza un vero filo conduttore. Una vera riforma, che dovrebbe affrontare gli enormi problemi degli Enti locali, non può muovere dalla convenienza del momento o dagli appetiti del parlamentare di turno, in questo modo non arriverà mai al traguardo del voto”.
“Peccato – ha aggiunto Antonio De Luca – perché dentro c’erano anche norme importanti come quella delle quote rosa, degli assessori under 30 e dei revisori dei conti. Ci consola il fatto che grazie alla nostra azione sono venute a galla le enormi spaccature della maggioranza”. Norme proposte dagli stessi Cinquestelle, come il sistema anti truffa per le schede elettorali che volano dentro e fuori dalle urne.
Le colleghe pentastellate Stefania Campo e Martina Ardizzone hanno invece presentato un emendamento che prevede in giunta la presenza di un giovane under 30 nei Comuni superiori a 15mila abitanti. “Spesso si parla di fuga dei cervelli, di emigrazione dalla nostra isola, di emarginazione giovanile, ma poco, pochissimo di rappresentanza democratica delle giovani generazioni che sono il nostro futuro, ma anche il nostro presente”, hanno dichiarato le deputate M5S prima che il Ddl Enti locali tornasse in Commissione.
Al suo esordio da deputato regionale nel gruppo misto dell’ARS, dopo l’addio a Sud chiama Nord recepito da Sala d’Ercole nella seduta di ieri, Ismaele La Vardera ha tracciato un bilancio dell’operatività del Parlamento siciliano: “Non è la prima volta: la maggioranza continua a distruggere le proprie riforme per via della lotta interna che c’è dentro il governo Schifani. Questo non fa bene a nessuno e soprattutto non fa bene ai siciliani. Le opposizioni hanno portato in aula una delle poche leggi approvate, quella anti-crack. La maggioranza è frammentata, Schifani latita e nel frattempo noi siamo pagati per essere tenuti in ostaggio dalla maggioranza che non fa altro che impantanare l’aula. In questi due anni gli unici interessi della squadra di governo sono state le varie manovre finanziarie, per il resto tabula rasa. Non si può più continuare in questo modo, noi opposizioni assistiamo con sdegno a un Parlamento che non è messo nelle condizioni per lavorare seriamente”.
Se lo sfoltimento degli emendamenti ha prodotto un aumento degli stessi, il ritorno in Commissione del testo del Ddl 105 non sembra un buon auspicio perché nasca una legge di riforma degli Enti locali. La stessa maggioranza oggi ha assunto posizioni – e presenze – diverse in aula. Il Ddl si barcamena da circa un paio di anni continuando a transitare dalle aule delle Commissioni parlamentari all’aula di Sala d’Ercole per poi tornare indietro come nel Gioco dell’Oca. Nel frattempo l’aula si riunisce, rinvia la discussione, slitta altre discussioni e rinvia ulteriori lavori. Il Ddl di iniziativa parlamentare, nei corridoi del palazzo, è definito come un “nato morto”, ma finché non passerà da una votazione finale in Sala d’Ercole non potrà finire nel cestino della carta straccia e l’ARS non potrà passare oltre, occupandosi di altre materie o riscrivendo di sana pianta una riforma Enti locali. Di contro, se l’Assemblea Regionale Siciliana tentasse di affrontare quattrocento emendamenti che non trovano d’accordo neanche la maggioranza, probabilmente finirebbe la legislatura e si rinvierebbe comunque, ma dopo le elezioni.
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