Sono passati pochi giorni da quando il Senato, tra gli applausi scroscianti del centrodestra, e non solo, ha decretato l’affossamento del Ddl Zan contro l’omolesbotransfobia. Oggi, per chi credeva in quella legge o almeno confidava nella sua giusta conclusione e che ha visto, invece, svanire un sogno di democrazia e di giustizia contro i crimini d’odio, è rimasta la “rabbia” per l’ennesima occasione mancata. Tra vincitori e vinti, franchi tiratori e tagliola, partiti e trattative raggiunte alla vigilia del voto, cosa rimane, quindi, del Ddl Zan?
La risposta cerchiamo di fornirla attraverso la voce di chi credeva fino alla fine a questa legge e chi invece, non ci hai mai creduto e chi senza troppe sorprese, ha assistito al triste epilogo, consumato in Senato.
La comunità lgbtqi+ è variegata, e ci sono quelli che il Ddl Zan non lo volevano proprio. “Non sempre una legge difende i diritti civili, lo dico anche da Gay”. Dice Sandro Mangano, omosessuale e responsabile regionale del dipartimento libertà civile di Forza Italia, che non ha esultato e nemmeno protestato contro l’affossamento del Ddl Zan.
“Per me la legge potrebbe anche non esserci – ancora Mangano -. Determinati diritti vengono già tutelati come essere umani. Non servono altre leggi che allontanano e continuano ad etichettarci come una categoria speciale. Se una legge deve esserci, ben venga, ma deve combattere le discriminazioni e lasciare fuori la “teoria gender” da inculcare ai bambini. Bisogna tutelare, invece, la libertà di opinione. Si deve parlare di accoglienza, delle diversità come ricchezze”.
“Inutile portarla avanti (riferendosi al Ddl Zan, ndr) con una Sinistra senza dialogo, togliendo alcuni punti chiave legati alla discriminazione. È bene cancellare l’immagine di un Ddl contro l’omofobia, quando all’interno del testo poi si parla di disabilità. Ma l’omosessuale non è un disabile”.
“La legge è stata bloccata perché c’è stata molta confusione, teorie prese a tutti i costi, un vizio della Sinistra non aperta al dialogo. Una Sinistra che si vende tollerante e aperta verso tutti, non è proprio così. La mia sembra una voce fuori dal coro – chiude Mangano – ma in realtà rappresenta una grossa parte di omosessuali, che molte volte non vengono rappresentati”.
“Quegli applausi fanno troppo male, fanno troppo rumore, e aumentano la distanza, con il mondo politico. La rabbia c’è l’ha anche chi non è coinvolto direttamente da questo progetto di legge affossato”. Dichiara il presidente di Arcigay Palermo, Marco Ghezzi.
“Più che altro, una magra consolazione – dice Ghezzi e prosegue -. Certo, da un lato fa piacere vedere tante persone dire no all’affossamento del Ddl Zan, ed è anche po’ la conferma di un certo distacco nei confronti della politica”.
“Le piazze sono e saranno piene di persone, come quella di Milano prima, e ora a Palermo col Pride, per manifestare ed esprimere la propria rabbia. Una rabbia – sottolinea Chezzi – perché ancora una volta si è persa un’occasione” .
“In questo momento – dice il presidente Arigay Palermo -, l’Italia è l’unico Paese, in Europa, a non avere mai adottato una legge di contrasto alla discriminazione propriamente all’orientamento omosessuale e all’identità di genere, al pari di Ucraina, Lettonia e Polonia. Siamo senza tutela”.
“I casi di violenza, quali? Quelli noti alla cronaca? Sono solo la punta dell’iceberg. Perché c’è stata una denuncia, in quei casi. Ma nella maggior parte, le aggressioni subite dalle persone discriminate della comunità lgbtqi+, non vengono denunciate. Tutto rimane nell’ombra”.
“L’esultanza dei senatori, soprattutto della Destra, dimostra un problema prettamente culturale, e quella di Zan è diventa una legge simbolica.
A mio parere non prevedeva sostanziali interventi nelle scuole, per dirne una. Quello che serve, per me, è soprattutto al prevenzione contro fenomeni di violenze – ancora Marco Ghezzi – . Serve un lavoro di cambiamento nella cultura. Per passare poi, ad altri articoli del Ddl, nessuna giornata nazionale, può cambiare, svincolare una cultura secolare, patriarcale, che si basa su un modello sessista, omofobico e transfobico – ancora il presidente di Arcigay Palermo -. Non si può intervenire, un giorno l’anno. Quello che bisogna fare è lavorare con chi vive nelle associazioni, parlare di bullismo nelle scuole nei confronti degli adolescenti. Partiamo da questo.
E parlando di numeri, un adolescente su quattro ha pensato al suicidio. E il dato scende, per gli adolescenti trans, uno su due almeno una volta ha pensato di togliersi la vita. Come si può pensare di cambiare rotta con un intervento abbastanza discrezionale nelle scuole? Tutto ciò è impossibile.
Quelle risate e quegli applausi da stadio sono stati visti da tutti, nessuno è rimasto indifferente. Quello non è solo odio, è accanimento. Troppe mediazioni, era una legge svuotata che non aveva senso portare avanti, era già affossata. E dopo la rabbia, c’è la ribellione, questa è la nostra risposta – prosegue il presidente Arcigay Palermo – . Sicuramente questa rabbia, ci sarà ancora per molto tempo ed è trasversale, perché coinvolge anche etero che sono consapevoli delle situazioni di violenze e discriminazione che rimangono impunite.
Non basta più discutere dell’insuccesso di questa legge, è l’occasione per parlare di altro. Parlo di matrimoni, adozioni, ad esempio. Sarà necessario interloquire con tutte le realtà politiche. In questo momento c’è bisogno di riprenderci la voce, prima di tutto. Hanno parlato solo i politici. La comunità lgbtqi+ deve riprendersi il suo spazio. Una voce messa da parte. Dobbiamo riscrivere noi, la società che vogliamo” .
“Si deve ripartire dalle piazze. Dobbiamo scendere in strada, a Catania stiamo organizzando una manifestazione (prevista per domenica prossima, 7 novembre) permettendo così alle persone di esprimere il loro dissenso contro lo stop. In primis la comunità lgbtqi+ ma anche cittadini e cittadine che ci hanno sostenuto sempre, in ogni momento, non meno adesso dopo l’affossamento del Ddl Zan – dichiara Armando Caravini, presidente di Arcigay Catania e prosegue – . Tutti hanno percepito l’importanza di sostenere questo progetto di legge, segno del progresso di civiltà. Adesso dobbiamo ricostruire quello che è stato distrutto dagli applausi in Senato, costruire una strada, la retta via. E non possiamo perdere più tempo. Sono vent’anni che si discute di una legge, contro l’omolesbotransfobia.
La politica non è tutta da buttare – dice Caravini -. Ripartiamo dal segretario Pd, Ernico Letta che ha pensato ad una proposta di legge di iniziativa popolare contro l’omotransfobia. Anche io penso che il Paese, tutto, è sempre dieci passi avanti rispetto ai nostri legislatori, è sempre stato così fin dal divorzio per arrivare al Ddl Zan”.
“Come quelle terribili parole, scritte sulle scalinata Alessi a Catania. E Non dimentichiamoci – dice Caravini – dell’episodio di violenza di alcuni mesi fa ad una ragazza trans picchiata in piazza Cutelli, senza alcun motivo. E alla fine la denuncia? Per futili motivi. – sottolinea Caravini -. Che futili motivi non sono. Un omofobo è recidivo, perché ha una violenza nei confronti di una persona diversa, che diventa un bersaglio da aggredire, da umiliare.
E quindi serviva una legge, come quella affossata, prima per punire, e poi per educare. Vittima e carnefice, da un lato la consapevolezza di non farla franca, dall’altra la certezza di una legge che può proteggerli, ma non c’è. Ancora per molto tempo, purtroppo”.
Tornando alla Politica, Armando Caravini dice: “Quella politica, quella di Destra, fatta da alcuni “gay borghesi”, lontana dai bisogni della comunità lgbtqi+, è facile parlare quando non si vive il disagio sulla propria pelle.
La comunità lgbtqi+ è molteplice e variegata, e ognuno ha vari modi di vivere la propria identità di genere. È facile parlare, tante persone vivono con estrema difficoltà anche il ricevere un insulto verbale. Ognuno vive, in modo diverso la propria identità di genere, che per molti può essere vista come motivo di attacco. Non si può essere picchiati solo perché non viene compresa. Quella legge serviva anche per questo”.
“In Italia, non esiste una destra liberale, solo una estrema destra – dichiara il presidente di Arcigay Catania -. Non una Destra che si allinea a realtà politiche come la CDU in Germania, o il partito conservatore in Inghilterra. In un paese normale le battaglie non conoscono colore politico, mentre da noi è diventata una battaglia ideologica sulla pelle della nostra comunità. Il cambiamento non ci sarà se non si innesca lo svecchiamento di queste ideologie fasciste.
L’altro giorno in Senato, cori da stadio, vittoria. Ha fallito la Destra, ha fallito anche il centroinistra, è fallito tutto il Paese. Un Paese che ha dimostrato allineamento ad altre realtà come la Polonia, una figura orribile agli occhi del mondo. Ma la colpa non è solo della Destra. Ma i numeri sono mancati anche dall’altra parte.
E’ chiaro che non è questione di tempo. È un periodo difficile per tutti i cambiamenti che si verificheranno nel nostro mondo politico. Deve ricominciare, e non purtroppo dal Ddl Zan, un lunghissimo iter legislativo, semmai ricomincerà. Nessuno sente, se non la comunità lgbtqi+, la voglia di correre di nuovo, non perdere tempo, verso un nuovo progetto di legge che possa diventare finalmente realtà”.
Marco Panasia