Il debito pubblico italiano e il relativo aumento in assoluto, anno dopo anno, costituiscono le maggiori criticità del sistema Italia. La situazione (al mese di luglio 2024) è la seguente: debito pubblico € 2.945 miliardi, Pil annuale (stimato) € 2.130 miliardi, Rapporto (stimato) debito pubblico/Pil, circa il 138%. Malgrado le varie rottamazioni l’importo totale del magazzino dei crediti dello Stato ammonta a circa 1.210 miliardi, di cui circa il 92% sarebbe costituito da crediti irrecuperabili.
L’attuale politica di recupero del Governo, e la riforma della riscossione, sono argomenti importanti e attuali, ma non viene trattato in modo rilevante il tema del debito pubblico. L’attualità del tema è assiomatica. Il Governatore della Banca d’Italia ha incentrato il suo interesse su crescita e debito pubblico all’annuale evento tenuto a Rimini, anche se la politica-partitica che sta all’opposizione potrebbe non aver interesse a considerarlo tale in quanto vanificherebbe in punto di fatto l’annuale pantomima in occasione della discussione sulla legge di bilancio (quest’anno per il 2025), con migliaia di emendamenti inaccoglibili per mancanza di copertura.
La consueta annuale manovra di bilancio, in punto di fatto, è limitata alle manovre per la gestione del debito pubblico e le scelte relative alla copertura dell’annuale deficit di bilancio. Ritornando al tema del debito pubblico italiano è stato importante ricostruirne l’annuale progressiva stratificazione (vedi tabella a fianco, realizzati con dati Bankitalia) in aumento, anno dopo anno, con le seguenti tre indicazioni: il rapporto percentuale col Pil; il Governo incaricato; la variazione annuale del rapporto debito pubblico/Pil.
I due citati riferimenti sono importanti per i seguenti motivi: anzitutto, l’importo assoluto del debito pubblico assume significato se riferito al Pil. Infatti, il debito Usa (Stati locali e Stato centrale) è stimato in 3.250 miliardi di $, a fronte del Pil (al 31/12/2023) di 27.361 miliardi di $. Il ricorso al debito, per fare riforme, specie nel periodo precedente all’Ue era un’importante scelta politica. È opportuno, quindi, che il cittadino colleghi tale scelta al colore politico del Governo dell’epoca. Ciò anche per valutare le riforme e le scelte più importanti dei Governi.
Per quanto riguarda le variazioni delle percentuali debito pubblico/Pil dei Governi in carica, tali variazioni sono indicative. A tal riguardo si evidenzia: il Governo Conte nel 2020 ha aumentato l’indice di 20,87 punti, dovuto, attendibilmente, alla gestione della pandemia; i Governi Conte e Draghi nel successivo anno 2022 hanno ridotto l’indice di 5,22 punti da collegare a quanto avvenuto nel precedente anno 2021; le riduzioni più significative sono state: 1995 (Berlusconi/Dini), -4,90; 2000 (D’Alema/Amato), -4,6; 2023 (Meloni), -4,30.
Gli altri Governi e in particolare quelli degli anni 1970-2000 hanno aumentato il debito pubblico portando dal 37,70 al 105,1 nel rapporto debito pubblico/Pil.
Dopo questi dati e valutazioni sul debito pubblico italiano residua la questione essenziale della relativa normalizzazione, cioè della congrua riduzione rispetto al Pil, come viene richiesta dall’Europa e come, attualmente, avviene per gli stati del Nord Europa. Il mantra che le Autorità monetarie italiana e dell’Europa ripetono costantemente è che la normalizzazione può avvenire con lo sviluppo dell’economia e, quindi, del Pil che lo quantifica. Affermazione del tutto fondata quanto del tutto generica.
Semplificando i dati, bisogna ragionare su 3.000 miliardi di debito pubblico e 2.200 miliardi di Pil. Il debito pubblico di 3.000 miliardi per non superare il 60% del Pil, questo dovrebbe ammontare a 5.000 miliardi di €, cioè circa 1/5 del Pil degli Usa, e maggiore del Pil della Germania (€ 4.456 miliardi di €). Tale prospettiva allo stato è utopistica.
Per rimanere con “i piedi per terra” l’obiettivo da fissare al 2030 potrebbe essere il seguente: bloccare a 3.000 miliardi di € il debito pubblico italiano. Il Governo e l’opposizione dovrebbero concordare il blocco, evitando proposte stravaganti, al limite del reato di voto di scambio, quale per esempio di assicurare a tutti gli animali domestici l’assistenza psicologica.
L’annuale sistematico deficit di bilancio di 20/30 miliardi all’anno dovrebbe essere finanziato dagli effetti della riscossione dei tributi e contributi, anche inclusi nel magazzino dei crediti fiscali, del progressivo recupero dell’evasione fiscale e degli incassi straordinari di condoni fiscali anche per la riduzione delle liti fiscali pendenti.
La riduzione dei tassi di riferimento, già effettuata e da effettuare per la normalizzazione dell’inflazione ridurrà in parte il costo di circa 100 miliardi di €, per il citato debito pubblico.
Poi, c’è lo sviluppo del Pil. Dal 2024 al 2030 vi sono sei anni. Da 2.200 miliardi di €, valore attuale del Pil, a 3.000 miliardi di €, obiettivo da raggiungere nel 2030, in circa 36 punti, potrebbero essere recuperati dalla prevista svalutazione riferita al citato periodo e stimata in 15 punti e per la differenza di 21 punti della crescita annuale.
Nella programmazione della crescita bisognerà puntare allo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. Al riguardo va tenuto presente che il Pil del Sud è intorno al 50% di quello del Centro-Nord. Il Pil annuale complessivo del Centro-Nord è stimato intorno a 1.500 miliardi di € e quello del Mezzogiorno in circa 750 miliardi. Tentare di fare aumentare la produttività del Mezzogiorno anche attraverso l’investimento nel capitale umano potrebbe costituire l’obiettivo per la crescita dell’Italia nel suo complesso.
I dati stimati sono previsioni macro-economiche e, quindi, soggetti a essere rettificate dai relativi e successivi dati storici. Tuttavia, sui temi di macro-economia il confronto, specie quello che si sviluppa nelle sedi istituzionali, dovrebbe essere basato sui numeri come avviene nelle aziende.
Nelle aziende private chi commette errori subisce conseguenze gravi. Lo stesso dovrebbe verificarsi con chi agisce per lo Stato usandone i poteri.
Antonio Pogliese
Dottore Commercialista