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Depistaggio strage di via D’Amelio, parla l’avvocato Di Gregorio

La gip di Messina Simonetta Finocchiaro, lo scorso 2 febbraio, ha archiviato l’inchiesta a carico dell’Avvocato generale dello Stato a Palermo Anna Maria Palma Guarnier, difesa dagli avvocati Roberto Tricoli e Massimiliano Miceli, e del Procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, difeso dall’avvocato Marcello Maddalena, accusati di calunnia aggravata in concorso nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio sula strage di via D’Amelio.

Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo a Caltanissetta, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, i due pm avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio imbeccando tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, e suggerendo loro di accusare dell’attentato persone a esso estranee.

La falsa verità, alla quale per anni i giudici hanno creduto, è costata la condanna all’ergastolo a 7 persone: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino. L’archiviazione del procedimento era stata chiesta dalla stessa Procura di Messina con un’articolata motivazione. All’istanza si erano opposti i legali delle persone offese dal reato tra cui i familiari del giudice Paolo Borsellino.

Abbiamo raggiunto telefonicamente l’avvocato Rosalba Di Gregorio (che ha fatto parte del collegio di difesa delle 7 persone accusate da Scarantino e poi risultate innocenti) e le abbiamo chiesto di parlarcene.

Avvocato, la sensazione è quella che la colpa della manipolazione di Scarantino e del conseguente depistaggio messo in essere sia esclusivamente da addebitarsi a coloro che, nel tempo, sono morti.

“La sua non è una tesi azzardata. Nella stessa richiesta di archiviazione fatta dalla Procura di Messina si dice che manca, ossia siamo monchi, dell’eventuale contributo di Tinebra e La Barbera proprio perché sono venuti a mancare. In realtà, qualora fossero ancora vivi, sarebbero certamente stati indagati e avrebbero però potuto avvalersi della facoltà di non rispondere”.

Le persone che lei ha difeso, a seguito delle accuse di Scarantino, sono state in carcere ingiustamente e hanno pagato un prezzo che non avrebbero dovuto pagare. Quali sono i risvolti che ha e genera questa ordinanza di archiviazione nel più ampio contesto in cui muove questa calunnia che Scarantino avrebbe messo in atto nei confronti dei due magistrati oggetto dell’archiviazione?

“Dal punto di vista meramente tecnico nessuna, in quanto la sentenza definitiva di revisione ha dichiarato innocenti i nostri clienti.Moralmente ha, però, un’influenza negativa. Non è possibile liquidare gli imputati che hanno vissuto quei processi dichiarando che i pubblici ministeri erano assolutamente ingenui e innocenti giacché non avevano gli elementi per capire che Scarantino fosse “farlocco”, acclarando che questo si sarebbe potuto capire solo dopo la confessione di Spatuzza. Che Scarantino fosse un personaggio assolutamente inaffidabile dal punto di vista della fonte di prova era invece evidente sin da subito. Ma ammettere che noi non godevamo di credito perché squalificati in quanto difensori non già di imputati, come prevede il codice, ma di stragisti, perché era già deciso che fossero loro gli stragisti, non è accettabile.

La dottoressa Boccassini e il dottor Sajeva, che all’inizio avevano raccolto la c.d. collaborazione di Scarantino, scrivono e motivano l’inattendibilità dello stesso Scarantino ed evidenziano anche la necessità di fermare il “Borsellino uno”. Questa motivazione la scrive anche l’estensore della sentenza del “Borsellino ter”, il dottor Zuccaro che oggi è l’attuale procuratore di Catania. È ammissibile, anche se non giusto, non credere agli avvocati difensori, denunciarli, delegittimarci perché eravamo difensori di mafiosi, ma la Boccassini non difendeva mafiosi e lo stesso dottor Sajeva nel processo “Mario Bo e altri” ha dichiarato come ci siano stati diversi colloqui con i suoi colleghi su quest’argomento ma che erano in dissenso poiché i suoi stessi colleghi portavano avanti le tesi di Scarantino a qualunque costo e con ogni mezzo”.

Parliamo, invece, del confronto organizzato tra Scarantino e Marino Mannoia, confronto che avrebbe dovuto mirare, visto l’acclarata affidabilità del Marino Mannoia, a capire se lo Scarantino fosse o meno organico a Cosa Nostra e quindi a dare, o meno, peso alle sue dichiarazioni.

“Il Gip, nell’ordinanza di archiviazione, riassume molto e non fornisce una visione chiara dell’evento. Innanzitutto noi non sapevamo che esistesse il confronto avvenuto il 12 gennaio 1995. Non erano stati depositati gli atti dei confronti con Cangemi, Di Matteo e La Barbera come non è mai stato depositato un atto che riguardasse un confronto tra Scarantino e Marino Mannoia. Ne abbiamo ignorato l’esistenza per tutta la durata del “Borsellino bis” come non sapevamo che ci fossero telefoni intercettati e che Scarantino avesse in uso un telefono.

Tenga conto, inoltre, che nel corso del processo “Mario Bo e altri” sono stati depositati centinaia di atti trovati dai pm negli archivi della procura di Caltanissetta, nei c.d. fascicoli “ignoti” ossia quelli che contengono i furti di motorini e reati simili. È lì che hanno trovato procedimenti a carico d’ignoti che riguardavano la strage, mai depositati e, quindi, a noi e alla Corte sconosciuti.

Tra questi anche la relazione di servizio dei due poliziotti della Questura di Imperia che indicava l’esecuzione di un servizio di accompagnamento di Scarantino a Roma dove, prima del previsto confronto con Marino Mannoia, si sarebbe intrattenuto con i pm Di Matteo, Palma e Petralia. Grazie a questo abbiamo potuto sapere dell’avvenuto confronto e abbiamo così scoperto che Scarantino aveva parlato con i pm in una modalità definibile, quanto meno, poco ortodossa.

I pm in questione, sentiti come testi, dopo una serie di “non ricordo” e di “non mi pare”, non hanno reagito, diciamo, in maniera elegante. Di fatto di questo colloquio non ci sono agli atti i relativi verbali e ciò, ritengo, sia gravissimo. Che Scarantino fosse inserito nell’ambiente criminale della Guadagna è un fatto acclarato, ma non è mai stato certo che fosse legittimato a conoscere fatti riguardanti la strage di via d’Amelio. Abbiamo chiesto più volte di chiarire questo episodio anche mettendo a confronto tutti gli attori di quell’evento ma non siamo mai stati ascoltati”.

Questa ordinanza di archiviazione mette quindi la parola fine all’intreccio relativo al depistaggio?

“Sì. Salvo che non occorra una condanna molto severa nei confronti dei poliziotti sotto processo, e parlo del procedimento “Mario Bo e gli altri”, perché in questo caso qualcuno potrebbe anche decidere di iniziare a parlare veramente”.

Ci saranno quindi implicazioni anche sulla sentenza del procedimento “Mario Bo e altri”?

“Questo è da vedere. Su quel procedimento c’è un problema di prescrizione incombente e, siccome anche la pandemia non sta aiutando il normale corso delle udienze, stiamo correndo un grande rischio. Abbiamo il timore che si possa arrivare alla prescrizione. Di fatto quest’archiviazione indica che i responsabili del depistaggio e della manipolazione di Scarantino sono stati i poliziotti e solo loro”.

Una sua valutazione conclusiva.

“Sono delusa. Mi dispiace per le vittime di questa strage. Pensare di consentire una narrazione processuale basata sull’uso di fonti di prova come Scarantino, Andriotta e Candura è molto triste. Penso che le vittime di quella strage non meritassero questo trattamento di serie C nella conduzione delle indagini e del procedimento. Gli unici che si sono mossi con determinazione e ottimi risultati, e a loro va tutto il nostro riconoscimento, sono i pm della Procura nissena diretta dal dottor Lari ma, sia le indagini del tempo sia le indagini della procura di Messina, sono state una profonda delusione.

Lo spartiacque della confessione di Spatuzza ha ulteriormente sparigliato le carte sul tavolo salvando chi, prima di quel momento, ha deciso di voler credere a tutti i costi alle affermazioni di Scarantino. Ripeto, sono delusa e amareggiata soprattutto dal punta di vista umano prima che professionale”.

Riprenderà venerdì 5 febbraio, a Caltanissetta, il processo sul depistaggio a carico di Mario Bò, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, i tre poliziotti accusati di calunnia aggravata in concorso, proprio come i due magistrati per i quali, però, è arrivata la richiesta di archiviazione.

Roberto Greco