ROMA – Con la recentissima ordinanza n. 16091 depositata il 19 maggio scorso, la Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi in merito alla compatibilità della normativa italiana rispetto alla normativa comunitaria, con specifico riguardo alle disposizioni riguardanti le società di comodo, ed in particolare quella contenuta all’art. 30 comma 4, secondo periodo, della L. 724/94.
Secondo la citata disposizione, per le società e gli enti cosiddetti “non operativi”, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione o di cessione. Ed ancora, qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per un importo inferiore a quello che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1 dell’articolo 30 della citata legge 724/94, l’eccedenza di credito non è nemmeno riportabile a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi.
Giova ricordare che la disciplina sulle società di comodo è stata introdotta nel 1994 con lo scopo di evitare frodi, evasioni ed elusioni d’imposta che, proprio attraverso l’esistenza formale di una società, venivano realizzate portando in detrazione costi ed Iva che, in realtà, non erano relativi allo svolgimento di una effettiva attività d’impresa.
Sono soggette alla citata normativa tutte le società e la condizione di “società non operativa” si verifica quando non viene superato il test di operatività previsto dal comma 1 della legge 724/94, nonché quando la società risulta in perdita (cosiddetta “sistematica”) per cinque periodi di imposta consecutivi (oppure per quattro periodi quando nel quinto non consegue il reddito minimo delle società di comodo determinato ai sensi del comma 3 del citato articolo 30 della legge 724/1994).
Il test di operatività consiste nel raffronto tra la media dei ricavi dell’anno in corso e dei due precedenti e l’importo che risulta attraverso l’applicazione delle percentuali appresso indicate:
Lo status di società di comodo o di società non operativa dà luogo a conseguenze abbastanza penalizzanti.
Intanto esiste una presunzione secondo la quale, nei casi ora citati, il reddito del periodo di imposta non può essere inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione, ai beni posseduti nell’esercizio, delle seguenti percentuali:
Ed ancora, come previsto dall’articolo 2, comma 36-quinquies, del decreto legge 138/2011, è applicabile la maggiorazione del 10,5% sull’aliquota Ires.
In materia di Iva, poi, come già detto, non è possibile il rimborso o l’utilizzo in compensazione dell’eccedenza di iva a credito risultante dalla dichiarazione relativa all’anno in cui la società è di comodo. è consentito solo l’utilizzo per la compensazione “verticale” (Iva da Iva).
Ma ancora più penalizzante è la disposizione di cui al 4^ comma dell’articolo 30 della legge 724/94, quella sottoposta dalla Cassazione al giudizio della Corte di Giustizia Europea, ossia quella che stabiliste che, se in tre anni non risultano effettuate operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (volume d’affari) in misura almeno pari all’importo che risulta dall’applicazione delle percentuali del test di operatività, l’eccedenza di credito non è nemmeno riportabile a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi.
C’è da dire, comunque, che la legge (articolo 4 bis, 4 ter e 4 quater del più volte ripetuto articolo 30 della legge 724/94) prevede due classi di situazioni che possono condurre o alla disapplicazione parziale o totale della disciplina, oppure all’esclusione totale dalla disciplina sulle società di comodo (anche in caso di perdita sistematica).
Ora, come già detto, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza precedentemente citata, oltre ad invocare la “certezza del diritto”, si pone dei dubbi in merito alla compatibilità delle cennate disposizioni antielusive con l’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/Ce, che prevede la nozione di soggetto passivo al quale, in generale, spetta la detrazione Iva in presenza di un’attività economica, nonché , con l’art. 167 della medesima direttiva e ai principi generali della neutralità dell’Iva, concetti che potrebbero risultare violati a causa di una ingiustificata limitazione del diritto alla detrazione.
Quindi, non ci resta che aspettare per sapere che fine faranno le disposizioni sulle “società di comodo”.