In questo film di Francesco Rosi del 1990 un candidato sindaco di New York, James Belusci, visita la sua terra di origine, Palermo. Lui alloggia all’hotel delle Palme, oggi ristrutturato, e osserva la bellezza ma anche il profondo degrado della nostra città. In oltre trent’anni da quella data c’è stata una feroce guerra di mafia, con stragi e distruzioni di tessuto sociale. Possiamo dire che la città non si è più ripresa da allora, come potrebbe accadere a Mariupol in Ucraina. Anzi è scivolata verso una non cura, un abbandono progressivo, strutturale ed umano. Palermo non è demodé, è essenzialmente delabré. Diruta, sdrucita, scrostata, claudicante e disfunzionante.
In questo contesto notiamo la profonda ritrosia dei capi del centrodestra di risolvere il rebus di una candidatura alla guida della città, che sembrava una vittoria facile, scontata. Palermo in questo immaginario è una croce che può interessare solo a persone che non hanno niente da perdere. Perché chiunque vinca il giorno dopo, e per diverso tempo, potrà dare solo delusioni ad una popolazione pretenziosa che vuole risposte collettive, ma anche individuali, immediate. E questa delusione spaventa chi a seguire dovrà affrontare successive elezioni regionali e nazionali a tambur battente. Da qui una sconfitta potenziale, quasi cercata, che potrebbe risultare un male minore. D’altra parte perdere è più facile che vincere.
Ovviamente i candidati di bandiera rimangono in campo, perché i vessilli dovranno garrire dopo poco tempo, con scenari di competizione interna alle singole aree e fra fazioni in lotta intestina.
Ma si sente forte un senso, simile a quello del centrosinistra, di rimozione. Come i giallorossi rimuovono, a cadavere amministrativo caldo, l’era precedente, cosi i maggiorenti del centrodestra cercano di dimenticare la responsabilità di bere un amaro calice in questi giorni di Quaresima. Pensano, e in qualche caso sanno, che la Resurrezione di Palermo non solo è titanica ma è oltre le proprie forze. Pertanto cercano di dimenticare l’appuntamento elettorale concentrandosi sulla prossima battaglia, la presa di Palazzo d’Orleans.
Ma non tengono conto del fatto che chi perde Palermo, è già successo nel 2012, poi viene considerato carro perdente. Ed il siciliano sale solo su carri vincenti. Palermo è bella e sfuggente, è un enigma, sta lì accasciata indolente come la Sfinge, calorica e ricca come una “sfincia” e povera come una sarda. È bella ma fa paura. E quando si ha paura dimenticare ha il senso dell’oblìo.
Così è se vi pare.