Nella sentenza n. 111 del 2023, consultabile su www.cortecostituzionale.it, la Corte costituzionale ha esteso il perimetro di esercizio del “diritto al silenzio”, aspetto consustanziale del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 della Costituzione.
L’ art. 64 del Codice di procedura penale (d’ora in poi Cpp) rubricato “Regole generali per l’interrogatorio” prevede che la persona indagata, prima che inizi l’interrogatorio, deve essere avvertita che “le sue dichiarazioni potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti” e che ha la facoltà “di non rispondere ad alcuna domanda”. Il soggetto interrogato sul fatto per il quale è indagato ha infatti il diritto di tacere per non auto-accusarsi e l’eventuale omissione di tale avvertimento “rende inutilizzabili le dichiarazioni rese”.
Il successivo art. 66 prevede, peraltro, che prima dell’inizio dell’interrogatorio vero e proprio l’imputato debba dichiarare le proprie generalità e “quant’altro può valere a identificarlo” previa ammonizione circa le “conseguenze cui si espone chi rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false”. L’art. 21 delle Norme di attuazione del Cpp specifica che, ai sensi dell’art. 66 Cpp, l’indagato/imputato è richiesto di fornire informazioni circa la sua situazione patrimoniale, le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale, gli eventuali precedenti penali e procedimenti penali in corso, gli uffici pubblici esercitati e le cariche pubbliche ricoperte. Se l’interrogato dovesse mentire incorre nell’art. 495 del codice penale che punisce chi dichiara a un pubblico ufficiale il falso circa la propria identità, il proprio stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona.
Dover informare gli inquirenti e il giudice circa il proprio patrimonio, i propri precedenti penali e gli eventuali procedimenti in corso può portare all’adozione di misure sfavorevoli per l’interrogato. Dall’esistenza di precedenti penali può infatti scaturire l’aggravante della recidiva; la sottoposizione a procedimenti penali influisce sulla valutazione della pericolosità sociale; le condizioni patrimoniali rilevano ai fini dell’adozione di misure cautelari. Tuttavia, di queste conseguenze sfavorevoli l’interrogato non è reso edotto perché gli avvertimenti non gli sono rivolti in questa fase ma soltanto prima dell’interrogatorio sul “fatto reato” per il quale si procede. Orbene, il rango costituzionale del diritto al silenzio, necessariamente ricompreso nel diritto di difesa valorizzato dall’art. 24 della Costituzione, esclude possa configurarsi un dovere della persona medesima di fornire all’Autorità procedente le informazioni di cui sopra imponendole così di collaborare alle indagini e nel processo a proprio carico.
La Corte dichiara quindi l’incostituzionalità, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dell’art. 64, terzo comma, Cpp nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti a chi è sottoposto alle indagini o all’imputato prima che ad essi vengano richieste le informazioni di cui all’art. 21 delle Norme di attuazione del Cpp.
Inoltre, sempre per contrasto con l’art. 24 della Costituzione, è dichiarato incostituzionale l’art. 495, primo comma, Cp, nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell’art. 21 norme att. Cpp, senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all’art. 64, comma 3, Cpp, abbiano reso false dichiarazioni.
Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa