Editoriale

Discariche di rifiuti disonore della Sicilia

Continuare ad accumulare 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, in discariche a cielo aperto, può considerarsi un disonore per le istituzioni siciliane, che dal dopoguerra non hanno trovato le adeguate soluzioni (che ci sono), e per il popolo siciliano, che mantiene tali istituzioni incapaci di risolvere questi, fra tanti altri problemi gravissimi, che gravano sulla testa del popolo stesso.

È disonorevole che si continui ad andare in questa direzione, cioè ad accumulare milioni di tonnellate di rifiuti in terreni a cielo aperto. Inspiegabile perché, per evitare quanto precede, la soluzione c’è da decenni.

Si tratta di quegli impianti che una volta si denominavano inceneritori, poi, con l’evoluzione della tecnologia, si sono denominati termovalorizzatori e oggi, con ulteriori passi avanti dei sistemi industriali, si chiamano termocombustori.
L’abbiamo ripetuto decine di volte, si tratta di impianti industriali che estraggono le materie prime e producono biocarburante, elettricità, sottoasfalto e altre materie prime.

I termocombustori rappresentano l’ultimo segmento dell’economia circolare relativa ai rifiuti, i quali, anziché appestare l’aria e inquinare il terreno, vengono reimmessi nel circuito economico e quindi utilizzati come materie prime del primo segmento produttivo.
Ora, se questi impianti non avessero una tecnologia raffinata, che non produce inquinamento né cattivi odori né altro, si rimarrebbe impotenti di fronte al problema dei rifiuti. Ma questi impianti esistono e funzionano. Addirittura, a Copenaghen, ve n’è uno sul quale è stata disegnata una pista da sci.

Ma i responsabili delle istituzioni siciliane sono ciechi, orbi, sordi e ritengono di vivere nel più retrogrado Paese africano. Oppure si tratta di gente normale che a parole si ritiene europea, ma che di europeo non ha nulla.

Il quesito è interessante perché essere governati da persone incompetenti è già grave, ma quando all’incompetenza si aggiunge la mancanza di volontà, per risolvere un problema grave quale quello dei rifiuti, la questione diventa molto più seria.

A beneficiare di questo latente stato di cose sono i proprietari di quegli immensi territori dove i suddetti milioni di tonnellate di rifiuti si sono accumulati in questi decenni.
Dobbiamo dedurre che essi abbiano una forte presa sui responsabili delle istituzioni regionali e locali, perché hanno impedito la costruzione dei termocombustori, mentre continuano a chiedere l’autorizzazione per aumentare il numero delle vasche e proseguire con il loro allegro business, che è quello di guadagnare soldi a palate, infischiandosene dell’interesse dei siciliani, che vorrebbero una regione ripulita dai rifiuti e funzionante come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia o il Piemonte.
È vero, la Giunta Musumeci ha emesso un avviso per verificare l’interesse dei fornitori a edificare i termocombustori in Sicilia. Ma esso è così generico e non preciso che non ha raccolto alcuna risposta, salvo la richiesta di ulteriori informazioni.
Questo comportamento dilatorio è contrario all’interesse generale.

Cosa avrebbe dovuto fare il Governo Musumeci? Stampare e pubblicare sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un bando di gara per la costruzione di undici termocombustori nelle undici aree industriali che così, tra l’altro, si sarebbero rivitalizzate.
Un bando di gara, non un avviso per valutare un generico interesse. Quest’ultimo, infatti, è un modo per procrastinare e fare andare avanti sine die i problemi senza trovarvi soluzione.

Un disonore continuo, del quale personalmente mi vergogno, nonostante la battaglia di questo giornale che per decenni ha chiesto quanto indicato prima. Battaglia che è gemella a quella che facciamo per la costruzione del Ponte sullo Stretto. Ma questo è un discorso che riprenderemo ancora.

Avanti presidente Musumeci, un atto di coraggio che non le manca: pubblichi il Bando europeo per la costruzione degli undici termocombustori. Avrà critiche da chi difende le discariche, ma il consenso del Popolo siciliano, che non ne può più di vedersi sommerso dalla “monnezza”, utilizzabile per produrre ricchezza e occupazione.