“Non mi fermerò finché non avremo consegnato l’America forte, sicura e prospera che i nostri figli meritano e che voi meritate. Questa sarà davvero l’età dell’oro dell’America“. Parole d’impatto, metafore di sicuro non nuove ma pur sempre retoricamente efficaci, la promessa di aiutare un Paese “malato” e “che ha bisogno di aiuto e tanto”… È questo il primo discorso di Donald Trump, scelto dai cittadini come 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, a Palm Beach.
“Make America great again“, il suo slogan. Il mantra che riproduce il motivo ricorrente nella retorica politica americana del “sogno americano”, declinato nel corso della storia nelle maniere più disparate e anche questa volta – in una situazione interna ed estera assai difficile – si è rivelata sufficiente a strappare la vittoria. Per Trump, però, la trionfante notte delle presidenziali lascerà presto spazio ad altre questioni nazionali e internazionali destinate a plasmare il mondo nei prossimi anni.
Tipico, ma con una serie di sorprese: così è stato il discorso di Donald Trump dopo l’annuncio della sua vittoria che – anche se lo spoglio continua – è certa, raggiunto il fatidico 270 di grandi elettori.
Ringraziando i propri sostenitori, compreso il potentissimo – probabilmente decisivo – Elon Musk, il presidente neoeletto non ha dimenticato i punti chiave della sua tipica retorica. Il sogno di “rendere l’America grande di nuovo”, la “promessa di un’America forte, sicura e prospera“, il motivo del “destino manifesto” degli USA, la metafora di un Paese da guarire. Con un medico, lui, l’anti-establishment per eccellenza. Per il victory speech del suo secondo mandato, però, il presidente eletto Donald Trump sceglie anche qualcosa di diverso e (in parte) inaspettato: i riferimenti alla pace e all’unità. “Mettiamo le divisioni del passato alle spalle, stiamo uniti”, una delle frasi chiave del suo discorso. Un riferimento che non è solo riferito ai punti “caldi” di Ucraina e Medio Oriente, ma anche a una popolazione – quella statunitense – che vive forse in questo nuovo decennio più che mai profonde divisioni e difficoltà sociali e razziali giunte a un punto quasi di non ritorno.
Donald Trump è presidente degli Stati Uniti, di nuovo. Ha ottenuto un secondo mandato con una vittoria su più fronti definita “storica” a scapito di una candidata democratica, Kamala Harris, che – oltre ad avere avuto lo svantaggio di subentrare all’ex presidente Joe Biden come candidata solo successivamente – forse ha subìto anche gli effetti di un’avanzata delle destre che prima ancora degli USA ha interessato l’intero mondo occidentale (le ultime elezioni europee ne sono la prova tangibile) e di una generale sfiducia nell’establishment democratico.
Ottenuto il risultato, però, compito di Trump è agire di fronte a un mondo pronto a giudicare ogni mossa “controversa” del tycoon. A partire dalla crisi interna, determinata da un’economia al collasso, disastri ambientali continui, un cumulo di diseguaglianze sociali e povertà diffusa che ha scatenato la rabbia generale, una netta e profonda divisione tra “razze” e “classi” – perché sì, ancora nel 2024 se ne parla negli USA -, questioni sociali come l’aborto e l’onnipresente tema della sicurezza. Quest’ultimo profondamente legato sul fronte interno alla questione dell’immigrazione e su quello esterno alle guerre e ai rapporti col resto del mondo.
Ed è sull’estero che si gioca la partita più grande e attesa di Trump. A cominciare da Israele e il caos Medio Oriente. In campagna elettorale, il tycoon neoeletto aveva promesso perfino di evitare “la terza guerra mondiale” fomentata – a suo parere – dagli avversari e aveva ribadito il sostegno a Israele. Un sostegno ricambiato, dato che il premier israeliano Benjamin Netanyahu non ha tardato a complimentarsi con Trump e a vedere l’esito delle elezioni statunitensi come “un nuovo inizio per l’America e un forte rinnovato impegno nei confronti della grande alleanza tra Israele e America”.
Per l’Ispi, in Medio Oriente Trump quasi sicuramente “cercherà di chiudere l’escalation in corso”. Poi potrebbe concentrarsi su attori economici di suo interesse (Arabia Saudita? Forse, probabile, ma occhio anche all’Iraq, che ha manifestato la volontà di rafforzare i rapporti bilaterali con gli USA). La politica estera, poi, si concentrerà con ogni probabilità sul protezionismo economico e sul contenimento della Cina. Per quanto riguarda l’Ucraina: l’ucraino Zelensky si annuncia felice della vittoria repubblicana, il russo Putin evita le congratulazioni e ribadisce di voler valutare l’operato del nuovo presidente statunitense “sulla base dei fatti”. Una questione tutta da vedere, quella della gestione dei conflitti internazionali e il bilanciamento tra interessi interni e questioni di impatto mondiale.
Elezioni dall’esito tutt’altro che scontato, che manifestano il cambiamento dell’elettorato americano. “Le debolezze di Trump non hanno cambiato l’inerzia politica, ma mentre la prima vittoria di Trump è stata corsara, questa seconda vittoria, che è netta anche nel voto popolare, sembra profilare un cambiamento di paradigma strutturale, cioè consolida un cambiamento della politica americana, che dovrà cambiare qualcosa anche nei Democratici”, spiega all’Adnkronos Giovanni Orsina, professore di Scienza Politica della Luiss.
Le reazioni a Trump presidente degli USA sono arrivate in poche ore da tutto il mondo, dai Paesi in guerra come Ucraina e Israele ai luoghi più defilati ma potenzialmente strategici come l’Iraq. Pochi commenti sulla rivale Kamala Harris e su ciò che non è andato nella campagna dem, molti invece sui cambiamenti promessi dal neopresidente. In Italia, il Governo Meloni si dice felice della vittoria: “Italia e Stati Uniti sono Nazioni ‘sorelle’, legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia. È un legame strategico, che sono certa ora rafforzeremo ancora di più”, scrive la premier; Salvini prevede perfino un possibile Nobel per Trump se – come promette – “riuscirà a riportare colloqui e dialogo tra Russia e Ucraina, tra Israele, Iran e Palestina”. Meno entusiasmo nelle parole del commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, che commenta: “L’America ha scelto Donald Trump. Ora molto dipenderà dall’Europa: deve essere più unita e più forte”.
Le elezioni sono andate. Ora rimane da osservare la strada di un presidente rieletto che avrà sicuramente un carico di sfide da affrontare non indifferente.
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