Editoriale

Diseducativo parlare in primis dei diritti

Se ci fate caso, in tutta la comunicazione nei media sociali e altri siti di informazione, tutti quelli che protestano verbalmente, mediante striscioni o in altre forme, lo fanno usando come prima parola “diritti”. Non riusciamo a vedere in nessun luogo o a sentire nelle varie fonti di informazione la parola “doveri”.
La questione che rappresentiamo non è di poco conto perché è incivile continuare a reclamare diritti senza prima avere osservato i propri doveri, sia quelli civici che sociali o familiari.
Non è di poco conto anche in quanto rileviamo un ribaltamento delle regole che dovrebbero esserci in una Comunità, in un convivio, in una qualunque aggregazione di persone.
Se ognuno non fa il proprio dovere – consistente non solo nell’eseguire bene il proprio lavoro, ma soprattutto nell’osservare le regole pubbliche – significa il dominio dell’arbitrio, perché si pretende che altri facciano ciò che noi non vogliamo fare.
Tutto questo è forse la causa della grande confusione che c’è nel mondo e nel nostro Paese.


Quando vi sono questioni da affrontare per trovarvi soluzioni, bisogna partire dal capo del percorso e cioè dall’osservanza delle regole, in modo da avere indicazioni su come bisogna viaggiare all’interno dello stesso percorso, per evitare di andarvi fuori.
Esso, ovvero il binario su cui deve viaggiare il treno della convivenza di ogni essere umano che vive in Comunità, è fatto proprio dalle regole che, in uno Stato, sono rappresentate dalle leggi.

Su questo punto bisogna aprire una parentesi. Le leggi devono essere giuste, imparziali, eque, devono esaltare i meriti, venire incontro ai bisogni e mettere fuori causa tutte quelle manifestazioni o interessi di parte che costituiscono prepotenze e prevaricazioni.
Se le leggi non hanno questi requisiti di equità e di buonsenso, possono diventare ingiuste, per esempio come le leggi fasciste. In quel caso, sosteneva Sandro Pertini: “Quando una legge è ingiusta, non osservarla è un dovere civico”. Ma il singolo cittadino non può discriminare fra una legge giusta ed una ingiusta; perciò nel nostro Paese c’è la Corte Costituzionale, appunto chiamata “il Tribunale delle leggi”.

Dunque, occorrerebbe che nelle scuole e nelle università, i professori, prima di entrare nel merito delle loro materie, spiegassero ai ragazzi – a cominciare dai sei anni – i principi che abbiamo succintamente elencato, in modo che essi si convincano che da adulti debbano compiere sempre e per prima cosa il proprio dovere e solo dopo reclamare i diritti.

Ma tutto ciò non conviene alla genie dei politicanti perché se spiegassero quanto precede ai cittadini, troverebbero una vasta quantità degli stessi sorda e recalcitrante. È infatti più comodo per ciascuno sbraitare e blaterare i propri diritti, piuttosto che, in precedenza, avere esaudito il proprio compito.
L’educazione civica è quasi sparita dalle scuole e non si insegna all’università, salvo che in materie specifiche, per esempio nel diritto costituzionale. Ecco, appunto, la nostra Costituzione dovrebbe essere insegnata nelle scuole perché essa elenca in modo equilibrato i doveri e poi i diritti di tutti i cittadini, cui dovrebbero uniformarsi le leggi.


Purtroppo – l’abbiamo scritto più volte – le nostre leggi non sono improntate ad equità e non sono scritte in italiano comprensibile, ma in burocratese.
Chissà perché è invalso l’uso, negli ultimi decenni, di scrivere leggi in modo tortuoso, spesso incomprensibile, che costituiscono un’offesa per tutti i cittadini che non sono in condizione di comprenderne il significato.

Il vituperato Codice Rocco o anche il Codice Civile del 1942 sono scritti in modo comprensibile. Oggi c’è il barnum dei richiami, delle incidentali, delle parole che si tolgono e si mettono, delle frasi che si sottraggono e si sommano: insomma, un caos veramente brutto ed inaccettabile. Per questo, poi, la gente non capisce e ricorre facilmente a reclamare diritti, diritti e diritti, ma mai che gli passi per la testa di elencare i doveri.

La riflessione sulla materia è utile perché ciascuno di noi – anche in funzione del mestiere che fa – deve spiegare ai propri interlocutori la necessità di ritornare al principio etico secondo il quale l’ordine è: doveri/diritti e non il contrario.