Disoccupazione e costante crollo demografico: si tratta di due facce della stessa medaglia, che in Sicilia si alimentano in modo reciproco rendendo ancora più incerto il futuro delle principali città dell’Isola.
Palermo, Catania e Messina sono le tre aree metropolitane cui fa riferimento il rapporto Istat che valuta lo stato di occupazione per le province prese in esame. A emergere, neanche a dirlo, dati estremamente negativi rispetto alle medie nazionali soprattutto per Palermo e Messina.
In base ai report Istat, la città dello Stretto è quella con il numero di disoccupati più elevato tra le tredici città analizzate. Il tasso di disoccupazione nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 64 anni, prendendo in considerazione il periodo 2015-2023, segnala come a Messina risulti disoccupato addirittura il 35,9% della popolazione inserita in questo range anagrafico.
Non è un caso che proprio Messina – secondo uno studio elaborato dalla società Landgeist sulle variazioni demografiche in Europa – risulti essere la città europea che si sta spopolando più velocemente al pari solo di alcune aree della Romania. Parma (+21%) la città italiana cresciuta di più in termini demografici tra il 2015 e il 2020, Messina (-4,9%) quella crollata maggiormente.
Secondo l’ultimo rilevamento Istat disponibile (giugno 2024), basti pensare che nella città dello Stretto sono rimasti circa 217mila abitanti. Un dato davvero impressionate se si considera che il censimento generale del 1981 permetteva alla città di superare quota 260mila abitanti: 43mila messinesi “scomparsi” e mai rimpiazzati. A trent’anni di distanza da quella rilevazione, nel 2011, gli abitanti di Messina erano già scesi di 17mila unità (243mila). In tredici anni si è consumata una catastrofe economica e sociale che ha visto ridurre il numero di addirittura ulteriori 26mila abitanti.
Dove non c’è lavoro – o quello che c’è risulta precario e mal pagato, crolla il numero di abitanti e la popolazione invecchia senza un ricambio generale in grado di garantire in futuro il benessere vissuto a quelle latitudini in un glorioso passato. Un passato che si dissolve sempre più anno dopo anno.
La disoccupazione resta ben al di sopra della media nazionale, con una forte incidenza nei settori tradizionalmente legati al commercio e al turismo, duramente colpiti dalla pandemia. Dal rilevamento pre-Covid a quelli successivi, gli occupati a Messina sono infatti passati da 66mila a 55mila: undicimila in meno. Più o meno lo stesso numero (54 mila) di inattivi, ovvero coloro che non cercano lavoro. E se Sparta piange, Atene non ride. Perché a Palermo le cose non vanno molto meglio.
È di oltre 44mila il numero di popolazione inattiva registrata a Palermo dall’Istat: si tratta del dato più negativo d’Italia, superiore anche a Napoli (41mila). Il tasso di disoccupazione supera il 20%, con picchi preoccupanti tra i giovani, dove quasi uno su due non riesce a trovare un lavoro stabile. Il numero totale di occupati è di oltre 180mila lavoratori: di fatto, il doppio di Catania e oltre il triplo di Messina.
Le poche opportunità lavorative sono però spesso precarie, sottopagate o legate a settori poco innovativi. In un contesto di stallo economico, l’incapacità di attrarre investimenti e creare lavoro qualificato scoraggia la permanenza dei più giovani, che vedono nella migrazione verso il Nord Italia o l’estero l’unica via di uscita.
Palermo (626mila) ha perso negli ultimi dieci anni circa 50.000 abitanti. Una decrescita costante se si pensa che 2mila abitanti hanno lasciato la città solo negli ultimi sei mesi. Le cause principali risiedono nella mancanza di lavoro e servizi adeguati, che spinge i giovani a cercare fortuna altrove. La bassa natalità rappresenta un ulteriore ostacolo alla crescita demografica, con un numero di nascite inferiore al tasso di sostituzione.
Anche a Catania l’economia resta bloccata – per quanto più dinamica delle altre realtà siciliane – con un tasso di disoccupazione giovanile simile a quello di Palermo. La città etnea è però quella che presenta dati meno critici rispetto alle altre due aree metropolitane prese in considerazione. La disoccupazione, nella fascia 15-64 anni e sempre nel periodo tra il 2015 e il 2023, risulta essere del 22,4%, in miglioramento di ben il 7,5% rispetto al periodo più critico del 2017.
Catania, anch’essa vittima di un’emorragia demografica, ha visto un calo costante della popolazione, con oltre 30.000 residenti in meno rispetto a dieci anni fa. Qui, il tasso di disoccupazione e l’assenza di una politica economica incisiva si riflettono in una fuga di giovani e famiglie, alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro altrove.
Le ragioni di questa situazione sono molteplici. Da un lato, c’è una crisi strutturale del mercato del lavoro, incapace di adattarsi alle sfide dell’economia globale e dell’innovazione tecnologica per l’Isola che potrebbe diventare una naturale polo di attrazione logistico per il Mediterraneo. Ma gli investimenti, anche per motivi burocratici e di tassazioni più accomodanti, si indirizzano verso Malta: un paradosso al largo proprio delle coste dell’Isola.
Tra le altre ragioni, il sistema produttivo siciliano, fortemente dipendente da settori tradizionali come l’agricoltura e il turismo, entrambi messi in ginocchio nel corso dell’ultima estate con una siccità da record e invasi a secco o gestiti non a dovere, non ha saputo diversificarsi e creare un tessuto industriale capace di assorbire la forza lavoro qualificata che esce dalle università.
Il crollo demografico non solo impoverisce ulteriormente queste città, ma contribuisce a un circolo vizioso in cui meno abitanti significano meno consumi, meno produttività e una sempre minore attrattività per gli investitori.
Dall’altro lato, vi è una gestione pubblica che, nonostante i fondi europei e nazionali, non riesce a creare infrastrutture moderne e servizi efficienti che potrebbero attrarre investimenti e nuove opportunità economiche. Un ruolo chiave potrebbero giocarlo gli attuali investimenti da complessivi oltre 40 miliardi di euro per ferrovie e autostrade della Sicilia.
Determinante anche il tema del ponte sullo Stretto, la cui valutazione è ancora ferma alla Commissione VIA – VAS del Mase. Le politiche di sviluppo, poi, sembrano ancora troppo lente e frammentarie per incidere in un territorio arido, e non solo per colpa delle scarse piogge.
L’emigrazione dei giovani rappresenta anche un’emorragia di capitale umano insostituibile. L’esodo verso il Nord Italia e verso l’estero priva la Sicilia delle menti migliori, indebolendo ulteriormente la capacità di innovazione e crescita economica.
La Sicilia necessita di una politica industriale e occupazionale capace di attirare investimenti in settori innovativi come la tecnologia, le energie rinnovabili e il turismo sostenibile, settori dal potenziale ancora inespresso a queste latitudini. Sarà necessario anche investire in formazione e aggiornamento professionale, così da adattare la forza lavoro futura alle nuove sfide del mercato. Il futuro della Sicilia passa dalla capacità di trattenere i propri giovani e di creare un contesto dove il lavoro non sia un’utopia, ma una realtà accessibile a tutti.