ROMA – Prestito di personale e rilevanza Iva: la Cassazione la pensa in modo diverso della Corte di Giustizia.
In base a quanto previsto dall’articolo 8, comma 35, della legge 67 dell’11/3/1988, “ Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.
In pratica, il legislatore nazionale, ponendo fine ad alcuni dubbi interpretativi, con quella norma intendeva mettere la parola fine alla questione riguardante la possibilità di considerare il “prestito di personale” (o distacco) operazione “esclusa dall’Iva” (art.15, comma 1, n.3 del DPR 633/72), nel presupposto che le somme pagate (soltanto la retribuzione ed i relativi oneri fiscali e previdenziali), costituivano “rimborso delle somme anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”. Diversamente si trattava di prestazione di servizio soggetta ad Iva ai sensi dell’articolo 3 del D.P.R. 633/72.
Per la verità, a favore della tesi dell’esclusione dall’Iva, è stata pure l’Amministrazione finanziaria la quale, con alcune risoluzioni, tra cui la n. 3446 del 5/11/2002, nell’affermare la non applicabilità dell’Iva ai prestiti di personale che prevedono la restituzione dei soli costi, ha pure affermato l’esigenza che le persone “prestate” fossero legate da rapporto di lavoro dipendente con il soggetto che lo ha temporaneamente distaccato.
Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione (Sent. n. 1788 del 6/3/1996) ribadendo il principio secondo il quale l’esclusione Iva è subordinata alla sola restituzione del costo del lavoro dipendente, confermando tale orientamento con la sentenza n. 23021 del 7/11/2011, a Sezioni Unite.
In quest’ultimo caso ha anche affermato che l’Iva è applicabile non solo in caso di rimborsi di somme superiori ai costi, ma anche in caso di rimborsi inferiori, in quanto in questo secondo caso verrebbe meno la precisa condizione prevista dal sopra citato articolo 8 della legge 67/1988.
C’è da dire, però, che nel 2020, la Corte di Giustizia Ue, con sentenza del 11 marzo 2020, causa n. C-94/19, ha rimescolato le carte, facendo venir meno le convinzioni che derivavano dall’esistenza di una norma, quella del 1988, abbastanza chiara.
La Corte Europea ha inteso dare particolare rilevanza all’esistenza di un rapporto sinallagmatico, tra la prestazione di distacco del dipendente (in quel caso si trattava di un dirigente distaccato dalla società controllante ad una società controllata), e la controprestazione del pagamento delle somme versate, ritenendo peraltro irrilevante l’entità del corrispettivo, anche quando è pari ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto nell’ambito della fornitura di personale.
In presenza di un rapporto sinallagmatico di tal genere, secondo la Corte di Giustizia, il distacco di personale è soggetto ad Iva.
Nel caso oggetto di quella sentenza è stato ritenuto che, qualora il pagamento della società distaccataria degli importi fatturati dalla distaccante costituisca condizione affinché quest’ultima proceda a distaccare il dirigente, considerando tali importi come corrispettivo del distacco, esiste il nesso diretto tra le prestazioni e controprestazione.
Tale condizione mancherebbe solo qualora l’interesse effettivo della distaccante fosse stato diverso dal mero rimborso del costo del personale distaccato, come nel caso di un dirigente distaccato, su richiesta dell’altra società, al fine di svolgere lì un compito specifico e ben definito.
Insomma, se questa volta la norma (l’articolo 8 della legge 67 dell’1988) era, stranamente, una norma abbastanza chiara, la Corte di Giustizia ha fatto di tutto per complicare le cose, subordinando la risposta all’indagine, estremamente difficile, circa l’esistenza del rapporto sinallagmatico nell’operazione.
Il problema è che, come è ben noto, le sentenze della Corte di Giustizia consentono ai Giudici nazionali la disapplicazione delle norme dichiarate non conformi alle direttive Ue.
E per la verità c’è già stata una Ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5609 del 2/3/2021) che ha aderito alla interpretazione europea, disapplicando, con effetto ex tunc, la norma di cui all’articolo 8 della legge 67/88.
Recentemente, però, è avvenuto il contrario. La Suprema Corte, infatti, con sentenza n. 11633 de 2/2/2022, ha considerato addirittura “operazioni inesistenti”, con le relative conseguenze amministrative e penali, le operazioni oggetto di alcune fatture relative al “prestito di personale” nei confronti di una struttura alberghiera, considerate dalle parti soggette ad Iva.
Evidentemente non erano operazioni completamente fasulle, dal punto di vista oggettivo o soggettivo, ma solo “giuridicamente” inesistenti.
Nel caso di cui parliamo si trattava di personale qualificato (camerieri, chef, bagnini, ecc.), munito dell’esperienza e degli strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività che veniva richiesta, e pertanto l’operazione, più che prestito di personale, era stata considerata, forse anche a scopo cautelativo, prestazione di servizio vera e propria e, pertanto, al di fuori dalle ipotesi dell’esclusione prevista dalla contestata norma.
La Cassazione, questa volta, come già detto, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Giustizia, implicitamente confermando l’applicabilità della “esclusione dall’Iva”, ha addirittura sanzionato, anche dal punto di vista penale, l’applicazione del tributo, considerando conseguentemente indebita, nel caso in questione, la detrazione dell’Iva operata dalla società distaccataria.
Speriamo che un intervento del Legislatore, conformandosi ai non chiari principi della Corte di Giustizia Europea, faccia chiarezza sulla questione.