L’emergenza Covid ci sta ponendo di fronte ad una serie di opportunità e di riflessioni riguardanti molti aspetti della nostra vita economica e sociale. Uno di questi è l’equilibrio fra città ed aree interne.
La pandemia ha fatto emergere una esigenza e consapevolezza diffusa per impiegare i tempi del lavoro (che comprendono anche il tempo per andar e venire dal lavoro) per conciliarli con una impostazione del tutto nuova della nostra esistenza, fatta meno di centri commerciali e più negozi di vicinato, meno automobile, cinema e teatri (chiusi per disposizioni di legge) e più passeggiate all’aria aperta.
Come si conviene, si è aperto un dibattito, (già da qualche mese) sui modi di riprogettare le città, creare palestre a cielo aperto e riportare a casa i molti cervelli in fuga che potrebbero lavorare a distanza ma continuando a risiedere negli stessi luoghi dai quali erano partiti (anche perché in quei luoghi non hanno trovato lavoro e/o valorizzazione del loro talento).
Il dibattito si è allargato fino a ricomprendere quello, annoso, delle cosiddette aree interne, vale a dire quei borghi posti nell’entroterra delle regioni italiane e afflitti da un pluridecennale fenomeno di spopolamento dovuto ad un mix di cause: mancanza di infrastrutture come scuole, strade efficienti, ospedali e servizi bancari e postali, crollo della natalità e progressivo invecchiamento della popolazione, degrado del territorio conseguente al dissesto idrogeologico che interessa la maggior parte dei territori collinari e di montagna.
Alcuni sindaci hanno lanciato iniziative meritorie (tra tutte la più nota è quella delle case in vendita al prezzo simbolico di un euro) ma i comuni restano ai margini dei processi economici e sociali, seppur siano oggetto da anni di una specifica politica pubblica, quella della Strategia nazionale per le aree interne.
Proprio questa distanza, fisica e infrastrutturale, è diventata un fattore di successo in un contesto nel quale la concentrazione e l’agglomerazione sono invece diventati fattori di rischio.
Infatti, nelle aree interne l’isolamento da elemento critico si è trasformato in un fattore positivo proprio perché il contrasto all’epidemia ha avuto (e continuerà ad avere) la distanza come principale strumento di contrasto e prevenzione.
Questa crisi potrebbe essere una buona occasione per ridurre i divari e gli squilibri territoriali e porre i temi dell’ambiente e della salute per riequilibrare le dotazioni di servizi e infrastrutture.
Quindi, è certo opportuno un potenziamento dello smart working come modalità stabile e nuova di lavoro ma è anche necessario che siano garantiti migliori servizi di trasporto e di medicina generale, per rispondere alle esigenze anche al di là di situazioni di emergenza.
Ed evitando, al tempo stesso, di finire con il creare condizioni assimilabili all’immagine di borghi popolati da “cervelli di ritorno” addetti a mansioni certo più sofisticate di quelle di un call center, ma la pari di queste del tutto o quasi improduttive in termini di valore aggiunto per il territorio nel quale si realizzano.