Finta gentilezza e millantata disponibilità, grandi apprezzamenti e una corte spietata. Così lo stalker di Elisa – questo il suo nome di fantasia – ha cominciato a entrare nella vita della donna che, di lì a poco, sarebbe diventata la sua più grande ossessione. Tanto da indurlo a perseguitarla, a sequestrarla in casa e picchiarla ripetutamente, a minacciarla di morte. Elisa, l’ennesima vittima di violenza che ha denunciato il suo aggressore senza ottenere giustizia, racconta in una videointervista esclusiva al QdS.it la sua storia.
Elisa ha conosciuto il suo stalker in spiaggia, diversi anni prima dall’inizio della loro relazione, mentre era impegnata in un’altra relazione sentimentale. Inizialmente ha cominciato a farsi sentire telefonicamente soltanto come un amico, sporadicamente per le ricorrenze, ma non appena ha compreso che lei aveva lasciato il suo fidanzato, ha cominciato ad avvicinarsi sempre più a lei, ad aiutarla nelle sue difficoltà quotidiane e a sostenerla. Una passione amorosa che pareva sincera e che, solo dopo, si è rivelata essere un mera tattica per controllare la vittima, conoscerne le sue abitudini e l’ambiente di lavoro.
Quando è cominciata la loro relazione, non si è mostrato subito geloso e ossessivo. Ma quando il ragazzo ha deciso di ristrutturare la sua casa e di andare ad abitare temporaneamente in un monolocale, ha chiesto ad Elisa di vivere con lui, minacciando tutte le persone a lei vicine di non intromettersi nel loro rapporto.
Appena Elisa l’ha scoperto, il primo forte litigio. Così il giovane l’ha rinchiusa nel suo monolocale, torturandola per tre giorni. Quando lei è riuscita a scappare, si è rifugiata insanguinata a casa di una signora. La donna, vedendola in lacrime e in quelle difficili condizioni, ha chiamato la polizia che ha arrestato l’aggressore in flagranza di reato. I genitori dello stalker, per evitare che Elisa si costituisse parte civile, l’hanno avvicinata supplicandola di deporre le armi e assicurandole la loro protezione. Nel processo successivo il ragazzo è stato assolto.
Proprio quest’assoluzione, alla luce delle prove schiaccianti della sua colpevolezza, avrebbe contribuito ad acuire – secondo la vittima – l’aggressività del suo persecutore. Ormai consapevole delle falle della giustizia italiana, e quindi della possibilità di agire a suo piacimento senza alcuna ripercussione, avrebbe rinunciato a tutti i suoi freni inibitori già evidentemente compromessi.
Dopo la scarcerazione, Elisa è stata riavvicinata dal ragazzo, il quale si è scusato con lei e le detto di essersi rivolto a uno psicologo. Tesi disconfermata dalle informazioni che la giovane è riuscita a ottenere e che l’hanno spinta ad allontanarlo definitivamente. Nel frattempo, racconta di aver fatto ben nove traslochi per scappare sfuggire alla furia delle persecuzioni e di aver subìto un sequestro e le minacce persino dai familiari dell’aggressore.
Da quel momento in poi, non ha mai smesso di denunciare: prima le diffide, poi gli ammonimenti e dopo ancora le denunce alle forze dell’ordine. Ma nulla ha sortito l’effetto sperato. Per salvarsi la giovane ha deciso, anche su consiglio degli inquirenti, di trasferirsi da Messina a Palermo.
“Il mio trasferimento è poi diventata persino una scriminante nei suoi confronti – racconta Elisa -. Nelle sentenze viene scritto che addirittura la problematica non sussiste più, che il rischio per la mia vita non esiste più, perché ho lasciato Messina, città dove lui abita. Ma io a Messina ho lasciato la mia famiglia, il mio lavoro, i miei amici. Praticamente ho lì lasciato la mia vita, ci vivevo da 14 anni”.
“Il problema è nato anche quando ho presentato un’integrazione della denuncia dopo aver scoperto che il mio stalker aveva dei contatti molto seri con degli spacciatori che fornivano, e forniscono, la cocaina alla ‘Messina bene’. A distanza di poco tempo, venne arrestato il capo di quest’associazione criminale. Elemento che non viene ricondotto al mio caso, visto che non se ne legge traccia nell’ultima sentenza che mi riguarda – ha aggiunto -. Tra l’altro la persona che ha seguito le indagini sul mio caso è già stata processata, in passato, sempre per questioni di droga a Messina. Non escludo quindi che possa esserci un collegamento tra chi ha fatto le indagini e il mio aggressore.
Nonostante io abbia portato anni di prove e registrazioni con messaggi in cui lui mi ha minacciata addirittura di morte, nulla è stato fatto dalle istituzioni. Il processo non è mai stato intavolato e sono trascorsi già due anni. La giudice sostiene che le minacce e le violenze da me subìte siano vere, ma che anche io abbia fatto le mie. Eppure io non ho mai minacciato nessuno e di queste mie presunte minacce non è stata consegnata, ovviamente, alcuna traccia da parte dell’indagato. Oggi vivo nella paura, perché non so cosa possa accadermi. E perché, come mi disse una psicologa di un centro antiviolenza di Messina a cui mi sono rivolta, qualora il mio aggressore avesse ‘risolto’ la sua ossessione nei miei confronti, la porterebbe a compimento con la successiva”.