CATANIA – Alcune detenute del carcere di Piazza Lanza sono sedute in cerchio. Ci sono dei libri e sono lì per l’iniziativa “Donne che raccontano”. Tutte ascoltano. Anche i rappresentanti della Polizia penitenziaria sono interessati. “Si mori lu sceccu chianciti ppi ‘n’annu, si mori la mugghieri chianciti ppi ‘n gnornu”. Tutte ridono. I testi di Giuseppe Pitrè, da cui è tratta questa (si direbbe simpatica) battuta, fanno (ancora) ridere. Ed è anche per questo che fanno riflettere. Dopo aver riso, tutte diventano serie, si guardano: sanno che è un momento in cui si può parlare liberamente.
È più o meno questo quello che sta succedendo a Piazza Lanza in questo mese di maggio, che è il mese dei libri. Questa iniziativa di incontro con le detenute del carcere fa parte del più ampio progetto “La Comunità dei LibEri” del Comitato popolare Antico Corso – sostenuto da Fondazione con il Sud e Cepell, in collaborazione con Anci – e ha l’obiettivo far arrivare i libri dove di solito non ci sono e portare la gente che non legge nelle biblioteche. Un piano fitto di iniziative e partnership per favorire la lettura e aiutare a trasformare le biblioteche in luoghi di cultura aperti a tutte e tutti.
L’impegno del Comitato popolare Antico Corso è così arrivato, con la collaborazione della Casa circondariale, anche dentro il carcere. A partire da alcuni testi come quelli antichi siciliani, si affronta la questione dell’identità femminile. Oggi e nel tempo. “L’altro giorno leggevo una sentenza per un maltrattante e sembrava la sintesi del film ‘C’è ancora domani’ della Cortellesi – ci racconta Nunziella Di Fazio, direttrice del carcere – il film però è ambientato negli anni Quaranta e noi la sentenza l’abbiamo avuta l’altro giorno. Ora, la violenza di genere è il motivo che ci ha condotto a pensare a delle iniziative che fossero per la popolazione detenuta femminile di sensibilizzazione sul tema della differenza di genere”.
Si tratta di incontri in cui donne, che vanno dai 25 ai 50 anni, possono raccontarsi ma anche riconoscere, da un testo, tutte le dinamiche tossiche che riguardano l’universo femminile nel rapporto con l’uomo. In maniera ludica, leggera e giocosa. In un contesto che di leggero ha ben poco. “Dai racconti della nostra tradizione siciliana – continua Di Fazio – riusciamo ad avere una fotografia di qual è la concezione della donna nel contesto siciliano, dove non si smentisce la cultura patriarcale. Nei racconti proposti dal Comitato, infatti, c’è sempre questa dualità tra la donna demone che si ribella e la donna angelo del focolare. Il laboratorio di lettura diventa, così, lo spunto per fare introspezione”.
Elvira Tomarchio, rappresentante del Comitato popolare Antico corso e referente del progetto “La comunità dei LibEri”, ci spiega la genesi dell’iniziativa: “Secondo noi, la lettura e la conoscenza rendono liberi. Questo concetto, quest’anno, è stato ripreso dal Maggio dei libri anche a Catania (che ha il riconoscimento di ‘Città che legge’) dove è stato lanciato lo slogan ‘Se leggi ti lib(e)ri’. Lavoriamo su tre direttrici fondamentali: accessibilità, inclusività e creatività. Al primo filone teniamo molto: rendere le biblioteche accessibili, rimuovendo le barriere fisiche e culturali è davvero importante. In questi piani di intervento c’è un partenariato più ampio possibile, tra cui ovviamente anche il Comune di Catania che ospita le nostre attività. L’obiettivo è portare adulti, anziani e bambini dentro la biblioteca per viverla e conoscerla. Tra le tante attività, c’è stato ‘Donne che scrivono’ nella biblioteca comunale che poi è diventato, in carcere, ‘Donne che raccontano’”.
“A piazza Lanza – prosegue – una cosa ci ha meravigliato ed è il rapporto tra le detenute e il personale addetto alla loro custodia: hanno un rapporto molto positivo e alcuni sono rimasti ad ascoltare durante l’incontro. Questa è la prova che nel carcere c’è un ambiente buono. Si sta lavorando anche per aprirlo alla società, per avvicinare le detenute al mondo esterno”.
Gli incontri di “Donne che scrivono” sono gestiti dalla psicologa Cristina Piazza – che si occupa di interpretare e decodificare i racconti proposti nel corso degli incontri al fine di utilizzarli con le donne – e dalla direttrice artistica della Fita (Federazione italiana teatro amatori) provinciale, Nunziata Blancato. “Le donne che si raccontano – spiega la rappresentante della Fita – lo fanno sia sul loro essere donne e poi su tutti i pregiudizi che hanno sulle spalle. Il panorama che io traggo dai testi antichi, cioè i testi del Pitrè, è attualissimo. C’è una bellissima favola di Pitrè: Il Signore dice ad Adamo, indicandogli il bastone, ‘Questo tu come lo chiami?’
‘Bastone’, dice Adamo.
Ma il Signore risponde, ‘No, è Ragione. Dalla sulle spalle alla tua donna e vedrai che vivrai felice’.
Queste cose sono attuali: possiamo raccontare a queste donne anche del Medioevo, possiamo parlare del Cinquecento, possiamo parlare di Franca Viola che non vuole il matrimonio riparatore, così come possiamo parlare dell’altro ieri e intenderci comunque benissimo”.
Ci si mette in cerchio, tutte insieme, si parla e ci si confronta a tu per tu. Ci sono imprenditrici, laureate ma anche altre che hanno studiato poco. Per un momento i reati commessi non contano. Conta l’empatia tra donne: quella, sì, non conosce confini o differenze. “Noi guardiamo alla persona – sottolinea la direttrice Di Fazio – abbiamo messo insieme, infatti, un gruppo di donne, proprio in quanto donne e basta, per riflettere insieme a loro sulla nostra storia. A causa della nostra cultura queste persone potrebbero essersi trovate in una spirale di violenza di genere nella loro vita privata, nella quale possono essere rimaste intrappolate. Questo tipo di laboratorio va bene per loro che sono in carcere come va bene, però, per qualsiasi altra donna”.
Una direttrice attenta alla condizione femminile, senza se e senza ma, che ci ricorda la gravità dei dati riguardanti la violenza maschile sulle donne: “L’Onu nel 2021 ha detto che a livello globale una donna su tre ha subito violenza economica, fisica o psicologica nell’arco di età che va dai 14 ai 75 anni. Una donna su tre è tanto, ecco perché nasce questo tipo di iniziativa. Il primo passo per affrontare un problema che affligge tutto il mondo è sensibilizzare. Qualcuna di loro ha anche commesso il reato in quanto legata a una persona rispetto alla quale aveva un rapporto di subordinazione. Speriamo che, come una goccia del mare, questa attività faccia il suo lavoro. Di certo, devo ringraziare la dottoressa Beatrice Rossino che è la capo area trattamentale e la Polizia penitenziaria, il cui sostegno e la cui collaborazione sono fondamentali nello sviluppo di questa iniziativa”.