ROMA – È un’Italia nel complesso resiliente quella che emerge dal Rapporto annuale dell’Istat per il 2023, presentato ieri alla Camera. La fotografia dell’istituto nazionale di statistica ritrae un paese capace di resistere alla pandemia prima e allo choc energetico e al conseguente rialzo dei prezzi dopo, con una crescita del Pil nel 2022 (+3,7%) seconda solo alla Spagna tra le maggiori economie europee, e maggiore rispetto a Francia e Germania, trainata soprattutto da costruzioni e servizi. Una tendenza positiva che sembra continuare anche nel 2023 e nel 2024, seppur con percentuali più contenute.
Non mancano tuttavia le criticità, a cominciare dalla natalità (nuovo record del minimo di nascite nel 2022) e dall’inclusione dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro. Su questo fronte si registrano ancora le percentuali più basse d’Europa. Un dato per tutti: la quota dei neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, è al 20%, pari a 1,7 milioni di persone (dopo di noi solo la Romania).
Nel primo quadrimestre 2023 le nascite in Italia, pari a 118mila unità, continuano a diminuire: -1,1 per cento sul 2022, -10,7 per cento sul 2019. Per quanto riguarda i decessi si assiste invece a una decisa inversione della tendenza negativa che aveva drammaticamente interessato il precedente triennio: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno sul 2022, 42mila in meno rispetto al 2020 e quasi 2mila unità in meno rispetto al 2019. Sono i dati forniti dall’Istat nel Rapporto 2023.
Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila) e per l’elevato numero di decessi (713mila). Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo. Il saldo naturale è diminuito in modo progressivo nel corso del tempo, toccando il minimo nel biennio 2020-2021, quando si è registrata una riduzione di oltre 300mila individui in media annua. A questo si aggiunge, nel 2022, un ulteriore decremento di 321mila unità, che porta quindi, in soli tre anni, alla perdita di quasi un milione di persone (957mila unità).
Il calo delle nascite tra il 2019 e il 2022 (27mila unità in meno), rileva il rapporto Istat, dipende per l’80% dal cosiddetto “effetto struttura”, ovvero dalla minore numerosità e dalla composizione per età delle donne. Il restante 20 per cento è dovuto, invece, alla minore fecondità: da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022. L’evoluzione di periodo del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate. L’età media al parto per le donne residenti in Italia, aumentata di un anno dal 2010 al 2020, è stabile negli ultimi due anni e pari a 32,4 anni.
Tra il 2004 e il 2022 il numero di donne occupate è aumentato di quasi un milione, a fronte di una riduzione di 154mila uomini, e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 per cento al 42,2 per cento, valore inferiore rispetto alla media Ue 27 (46,3 per cento).
Nello stesso periodo, sul territorio la crescita complessiva dell’occupazione compendia un aumento di oltre 1 milione di occupati nel Centro-Nord e una diminuzione di quasi 300mila nel Mezzogiorno.
Il tasso di attività della popolazione tra 15 e 64 anni nel periodo 1993-2022 è cresciuto di circa 6 punti percentuali (al 65,6 per cento), esclusivamente per l’aumento della partecipazione femminile, aumentata in misura quasi doppia (al 56,5 per cento), mentre il tasso di attività maschile è rimasto sostanzialmente invariato (nel 2022, pari al 74,7 per cento). Corrispondentemente si è ridotto in tutte le classi d’età il divario di genere, che resta comunque ampio, superando, nel 2022, i 20 punti percentuali, fatta eccezione per la classe dei 15-34enni per i quali è di 12,6 p.p.
L’Istat rileva come le donne che raggiungono i livelli più elevati di istruzione rimangano più a lungo al lavoro anche dopo aver avuto figli. La partecipazione al lavoro si lega direttamente, come dimostrato dai dati dell’Istituto, a quello della natalità (lo scorso anno si è registrato il record storico negativo inferiore a 400mila nascite) e dell’invecchiamento demografico, che modificano direttamente la struttura del mercato lavorativo. L’Istat propone un approccio qualitativo più che quantitativo al welfare, per consentire alle nuove generazioni di fare scelte genitoriali e progettare il futuro.