Sono pochissime le donne che occupano posti di vertice nella pubblica amministrazione siciliana. Secondo i dati forniti dall’Istat, nel 2022 appena una donna su 10 si trovava al comando, contro una media nazionale che rimane comunque bassa, ma arriva almeno al 16,3%.
Negli anni è stata comunque rilevata una leggera crescita: nel 2017 le donne nei posti di rilievo nell’Isola erano appena il 7,7%, nel 2020 erano il 9,4%, nel 2022 tale valore è salito al 9,9%. La crescita segue l’andamento nazionale, considerato che nel 2017 ci si fermava al 14,7%.
A livello nazionale, peggio della Sicilia fanno soltanto la Calabria, al 9,1%, e la Campania, dove si scende a un ancora più misero 5,8%. Le regioni virtuose, invece, si trovano tendenzialmente nel Nord Est della penisola, con il Friuli Venezia Giulia al 23,1% e l’Emilia Romagna al 22,9%, tanto da portare l’intera macro-area a una media del 20,9%. A seguire il Nord Ovest, al 17,9% di presenza femminile nei ruoli apicali della pubblica amministrazione; quindi, il Centro, al 17,1%, e in ultimo Sud e Isole, ad appena il 10,9%.
Le donne sono più presenti negli enti del servizio sanitario nazionale, con una presenza media nella penisola del 21,6%, e negli enti pubblici non economici, dove si registra una percentuale femminile del 19,7%. I numeri più bassi, invece, riguardano gli organi regionali, che siano giunta o consiglio regionale, dove ci si ferma al 7,7%.
Le percentuali rimangono basse nelle università pubbliche, nelle unioni di Comuni, negli organi che sono andati a sostituire le vecchie Province, che siano liberi consorzi o città metropolitane. Ancora, il bilancio di genere del 2022 elaborato dalla Ragioneria generale dello Stato evidenzia come sia ancora in corso la crescita della presenza delle donne nei consigli di amministrazione per le quotate e per le partecipate.
Tuttavia, non sempre la maggiore presenza delle donne tra i membri dei consigli di amministrazione ha avuto come conseguenza il raggiungimento di posizioni di comando: in circa tre quarti dei casi, infatti, le donne sono consiglieri indipendenti, ossia prive di deleghe gestionali o operative, e sono titolari di più di un incarico di amministratore. Si viene così a rilevare un ossimoro non da poco, considerato che quasi il 60% dei dipendenti pubblici è di genere femminile, con una prevalenza nei settori della scuola e del sistema sanitario.
Eppure, si tratta quasi sempre di ricoprire ruoli amministrativi, e quasi mai di potere. Il dato rimane stabile anche se si vanno a vedere i numeri relativi alle amministrazioni comunali. In 4.487 amministrazioni le donne compongono almeno la metà del personale dipendente. Si tratta del 57% degli enti comunali italiani. L’area con la maggior incidenza di questi Comuni è la Valle d’Aosta, dove nell’85% degli enti locali il personale è almeno per la metà femminile. Seguono Emilia-Romagna (80%), Lombardia (76%) e Trentino-Alto Adige (74%). Percentuali minori invece nelle aree della Basilicata (27%), della Calabria (16%) e della Campania (10%). Ci sono poi 274 Comuni italiani in cui il personale è interamente femminile. In termini assoluti, circa la metà si trova in Piemonte.
La mancanza di presenza femminile in posizioni apicali però stride con quello che dimostrano i dati: una ricerca del Boston Consulting Group ha mostrato come, nel 2022, le aziende con almeno il 30% di dirigenti donne hanno registrato un aumento del 15% della redditività. Gli studi del World Economic Forum del 2023 dicono che l’inclusione delle donne nelle aziende può aumentare il Pil mondiale fino al 35% mentre ridurre il gender gap potrebbe portare a una crescita del Pil pro capite dell’Unione Europea dal 6,1% al 9,6% entro il 2050.