Cronaca

Droga, gestiva spaccio allo Zen di Palermo, maxisequestro

Era stato arrestato a Palermo nel 2017, nel corso di un’operazione antidroga allo Zen, insieme ad altre 24 persone.

Oggi i finanzieri del comando provinciale hanno sequestrato beni per 230 mila euro ad Antonino Mazza, 48 anni.

Il provvedimento è della sezione misure di prevenzione del tribunale. Mazza, ritenuto uno dei tre capi dell’organizzazione, è già stato condannato in secondo grado, con rito abbreviato, con l’accusa di gestire insieme ad altri lo spaccio di hashish, cocaina e marijuana nel quartiere alla periferia di Palermo utilizzando vedette con tanto di binocoli, pusher con precisi “turni” e una gestione comune della cassa.

L’organizzazione controllava i padiglioni dove lo spaccio di droga è una delle attività principali.

La Procura ha delegato accertamenti economico-patrimoniali agli specialisti del Gico del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza, diretti dal colonnello Gianluca Angelini.

Controlli che hanno evidenziato una disponibilità patrimoniale sproporzionata rispetto alla capacità reddituale ufficialmente dichiarata.

A Mazza sono stati sequestrati due abitazioni, altrettanti terreni a Casteldaccia e quattro rapporti finanziari che secondo la sezione misure di prevenzione sarebbero stati acquistati con i proventi delle attività illecite.

A Mazza sono stati sequestrati beni per un valore di circa 230 mila euro: il sequestro stato eseguito dalla Guardia di finanza su disposizione della sezione Misure di prevenzione del tribunale che ha accolto la richiesta della Procura. Mazza è già stato condannato in secondo grado, con rito abbreviato, in quanto ritenuto tra i promotori di un’organizzazione criminale che controllava in modo strutturato lo spaccio di hashish, cocaina e marijuana nel quartiere “Zen 2”, mediante l’utilizzo sistematico di vedette, l’organizzazione in “turni” dei singoli pusher e una gestione comune della cassa, con un giro d’affari che arrivava fino a 2.500 euro al giorno.

Il Tribunale di Palermo ha ritenuto che i beni (due abitazioni e due terreni a Casteldaccia e 4 rapporti finanziari) costituissero il reimpiego dei proventi derivanti dalle attività illecite.