Dopo quasi due anni di guerra la situazione in Ucraina appare sostanzialmente congelata. Nel settembre 2022 l’esercito di Kiev ha riconquistato una parte dei territori persi in precedenza, ma poi si fermato a causa del duro inverno e per il ritardo delle forniture militari dell’occidente. Quando in primavera i combattimenti sono ripresi la resistenza delle truppe russe, che nel frattempo avevano fortificato le proprie posizioni, ha fatto fallire la controffensiva.
L’attacco di Hamas a Israele ha poi spostato l’attenzione sul Medio Oriente, relegando in secondo piano il conflitto Ucraino. L’appoggio occidentale, nonostante le parole, è andato scemando, e la maggioranza repubblicana ha di fatto stoppato la parte più significativa degli aiuti americani. Il probabile ritorno alla Casa Bianca di Trump, poco interessato a questa guerra, ha rinvigorito la posizione del Cremlino e messo in crisi la leadership di Zelensky, che si è trovato a fare i conti con una crescente opposizione interna, sia tra le gerarchie militari che tra la popolazione. Le sorti della guerra non sono segnate, ma i russi hanno aumentato la pressione sugli oblast di Luhansk, Donetsk e su Kharkiv. Nel frattempo Kiev ha acquisito lo status di paese candidato alla Ue, un grande riconoscimento politico, ma niente di più.
Già ora si vedono gli enormi problemi che la produzione agricola Ucraina porta in Europa, e se si aggiungono gli altissimi costi che l’Unione dovrebbe sopportare per la ricostruzione si capisce che il cammino sarà lungo e complicato. Gli aiuti europei, peraltro resi difficili dall’Ungheria, non basteranno certo per vincere la guerra, che si avvia a diventare un altro frozen conflict. Se durante la Guerra fredda il nemico era l’Unione Sovietica e il campo di battaglia l’Europa, oggi Washington e più interessata al Pacifico e più preoccupata dalla Cina. Dall’armistizio della Guerra di Corea sono passati settanta anni e una situazione analoga, in fondo, non dispiacerebbe agli americani.