“Elogio del nulla” è un piccolo libro del 1990 del poeta e scrittore francese Christian Bobin, tradotto in Italia da Federico Francucci per Servitium nel 2002. Bobin, piuttosto noto in Francia, è scrittore meditativo, capace di miscelare in modo mirabile poesia e prosa, facendo della pratica del silenzio e della lentezza contemplativa dei veri e propri costitutivi dell’umano. In Elogio del nulla, un libricino terso, essenziale, luminoso, una dozzina di pagine con testo francese a fronte e una puntuale introduzione di Mario Bertin, Bobin intercetta la vita nel suo momento sorgivo, nel suo prendere forma, nella sua stupefacente, inaugurante semplicità.
Scrive Bobin: Cosa dà senso alla mia vita? Nulla, e soprattutto non la scrittura. Perché suppongo che lei mi interroghi in ragione di qualche libro che ho scritto. Si fanno sempre troppe domande agli scrittori. Come fossero detentori di un sapere abbondante, disponibile giorno e notte. Come se si scrivesse a partire da un sapere. È vero il contrario: si può scrivere esclusivamente di ciò che si ignora. Si può scrivere solo muovendosi verso l’ignoto – e non per conoscerlo, ma per amarlo.
L’amore per la vita, l’espansione gioiosa del nostro essere, che Bobin incarna in una scrittura non sapienziale ma vissuta, un ininterrotto flusso vitale, viene intercettato nell’ordinario, nel quotidiano.
In “Autoritratto”, altra piccola gemma letteraria, leggiamo: Io parlo in nome di queste cose piccolissime. Provo ad ascoltare. Non sogno un mondo pacificato. Un mondo simile sarebbe morto […] Non cerco la pace, ma la gioia, e credo che per trovarla convenga cercare ovunque, senza mediocrità, e preferibilmente nell’ambito della vita ordinaria, minuscola
La gioia che cerca Bobin origina e si feconda nel vivere la vita, senza un’ossessiva ricerca del senso, a partire da un presunto sapere precostituito e totalizzante, semmai a partire dal nulla di un non sapere che privilegia l’immersione nella vita stessa, nella semplicità del suo sbocciare, nell’attesa di un non so che di vitale e gioioso. Insomma, un nulla che non implode in qualche forma di nichilismo, semmai un nulla che è apertura alla gratuità, all’oblatività della vita, all’attesa benedicente del suo manifestarsi in ogni frammento, in ogni intercapedine, in ogni insenatura del mondo.
Scrive ancora Bobin in “Autoritratto”: Aspetto. Aspetterò tutta la vita! A volte, come questa mattina, mi dico pure: sono atteso. Non so dove, non so da cosa o da chi, ma sono sicuro di essere atteso”.
Dobbiamo consumare, bruciare, incorporare la vita, attenderla là ove non ce l’aspettavamo, benedirla con gratitudine, farci sorprendere da essa, dal suo inesausto slancio in avanti, confidando che in ogni strappo sia sempre celata la possibilità del rilancio, dell’espansione del nostro essere.
Insomma, della gioia. Al di là di ogni pretesa di senso, di ogni sua costrizione.
Con Bobin: Nella sua lettera una parola mi infastidisce. La parola “senso”. Mi permetta di cancellarla. Guardi cosa diventa la sua domanda, come si presenta bene adesso. Aerea, agile: “Cosa le dà la vita?” Stavolta la risposta è facile: tutto.